The Wolf of Wall Street
Creato il 11 agosto 2014 da Mattia Allegrucci
@Mattia_Alle
Che bello farsi trascinare attraverso i 180 minuti di questa fantastica commedia biografica realizzata da un Martin Scorsese più che in ottima forma. E mentre tutto il mondo sta ancora discutendo se sia migliore questo The wolf of Wall Street o il meno recente Casinò, se la filmografia più moderna del regista valga quanto i suoi primi film come Toro scatenato o Taxi driver, se Scorsese sia ancora davvero un grandissimo regista (in questo caso la risposta è sì, e tanti saluti a tutti quelli che hanno il coraggio di sindacare su ciò), io mi sono goduto, seppur con un non indifferente ritardo, la sua ultima fatica, restandone assolutamente estasiato. È fantastico trovarsi di fronte a tutti quei sensazionali piani sequenza all'interno dell'ufficio sempre più grande di Jordan Belfort, impersonato da un Leonardo Di Caprio mai così azzeccato per un ruolo, audace e istrionico, pronto a raccontarci per una buona parte del film la sua storia. Letteralmente: lui ci guarda mentre il film scorre, mentre le cose vanno bene per Belfort e la sua Stratton Oakmont, facendoci vedere quanto sia bello e produttivo e rilassante fare il broker. In parole povere ci sta vendendo il suo mondo, sta convincendo il pubblico ad investire su quella pellicola, a godere insieme a lui delle cose positive del suo lavoro, trasformando i lati negativi (droga, prostitute, una vita matrimoniale sempre all'orlo della crisi) in lievi difetti superficiali o addirittura in pregi, rendendo ogni cosa giusta, buona e positiva. Jordan Belfort parla al pubblico come parla ai suoi collaboratori, uomini d'affari di successo che fino al giorno prima erano dei perfetti sfigati (fantastico Jonah Hill, tanto da rubare almeno un paio di volte la scena a Di Caprio). E intanto la sua vita sentimentale va in fumo, due volte di fila, e a noi non ce ne importa niente, perché è bello fare il broker, avere ville, yacht, macchine sportive, vestiti costosi, metterla nel culo ai clienti ma anche e soprattutto al sistema americano, che fa di tutto per impedire che il sogno di Jordan si avveri. Noi, intanto, continuiamo a fissare meravigliati la vita di Jordan che, se da un lato va in frantumi, dall'altro continua ad andare verso la vetta prima di crollare vertiginosamente a picco; ma ancora una volta ce ne importa poco, perché lui è Jordan Belfort, troverà sicuramente un modo per risollevarsi, per vendere nuovamente quella maledetta penna, per metterla di nuovo nel culo al sistema americano. Com'è uso in buona parte della filmografia di Scorsese, anche questa volta il regista ci fa tifare per un anti-eroe, un furfante, un criminale, una persona che nella vita normale condanneremmo senza pensarci due volte, ma c'è di più: questa volta il buon Martin non si limita solo a questo, si azzarda invece a rendere la figura di Belfort un esempio da imitare, un ideale da seguire. Un nuovo modello di Sogno Americano si erge di fronte ai nostri occhi e noi lo ammiriamo e lo elogiamo, tifiamo per lui e vorremmo imitarlo, perché per tutta la prima parte del film, con i suoi sguardi in macchina e il suo trattarci da suoi pari, ci ha convinto al 100% che ogni cosa che fa lui è sempre la cosa giusta. Poi magari continuate pure a sbudellarvi tra di voi per cercare di capire se sia meglio questo o Casinò, fatto sta che, dopo più di cinquant'anni di carriera, Martin Scorsese riesce ad essere ancora oggi uno dei baluardi del vero Cinema, e scusate se è poco.
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