Il cinema può salvarti la vita. Quando è l’unico contatto che hai con il mondo esterno, l’unica testimonianza che esiste un mondo esterno, è necessario. È il leitmotiv di The Wolfpack – Il branco, documentario che racconta l’esistenza di una famiglia insolita, in ci nessuno degli otto figli – ciascuno chiamato col nome di un personaggio della tradizione Hare Krishna – non possono uscire di casa. Non sanno che cosa vuol dire calpestare l’asfalto, fermarsi a un semaforo, guardare il sole dritto in faccia e dover subito distogliere gli occhi per non bruciarseli. È la filosofia dei genitori, anzi, del padre più che della madre, docile e sottomessa: tenere i propri pargoli a riparo dalla società, dalla crudeltà della gente, dalla campagna e dall’aria buona che in città non potrebbero respirare. Ma non si riesce a provare rabbia per questi due individui, anche se risulta comunque difficile comprendere i motivi della loro reciproca attrazione. È la pietà il sentimento più forte, per la loro scelta di vita certamente coraggiosa ma della quale non hanno ponderato le conseguenze, la sola cosa che ha preservato i ragazzi dal crescere come dei sociopatici è il fatto che fossero in tanti e che potessero mettere in scena una realtà alternativa alla loro prigione: e quindi torniamo al cinema, quel “lucernario dell’infinito” (Noël Burch) che ha permesso loro di conoscersi a fondo, di trascorrere molto – troppo – tempo soli con se stessi. E anche di farsi una cultura cinefila di tutto rispetto. “Abbiamo più di cinquemila film tra VHS e DVD” racconta il fratello maggiore, quello che dopo aver guardato un film lo rivede carta e penna alla mano per segnarsi tutte le battute e riscriverle a macchina, e poi distribuirle agli altri fratelli per recitare tutti insieme. E travestirsi, fabbricare con quello che trovano in casa ogni sorta di oggetto di scena. Ma sono tutti modi per esorcizzare tristezza e solitudine fino a quando, finalmente, arriva il vero turning point delle loro vite: varcare la porta d’ingresso.
The Wolfpack accompagna i suoi attori in un già intrapreso percorso di guarigione, oseremmo definirlo, che passa anche attraverso tante pillole di cinema.
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