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They have done the impossibile: Spartacus – War of the Damned (2013)
Creato il 18 aprile 2013 da SilenteUSA, 10 episodi, 55 min. cad. Creato da: Steven S. DeKnight Network: Starz Impossibile parlare di Spartacus senza usare parole esagerate e muscolose, ma se la serie tra le più eccessive mai viste in tv deve molto della sua sostanza al sudore, ai bicipiti e ai glutei maschili e femminili, che a Roma, si sa, a quei tempi non si facevano poi molte differenze, mi ritrovo costretto a fregarmene tranquillamente dell’abbondanza sfacciatamente gratuita sbandierata in apparenza come sudario sotto il quale far sparire leggerezze, superficialità, mancanze tecniche e storiche, perché, cazzo, Spartacus è tra le cose più belle mai viste, ed è per certi versi capolavoro televisivo e non tanto per le sculacciate zozzone o per le secchiate di viscere e sangue, ma proprio per l’epicità, per la tragedia, per la drammatica e altisonante regalità dei personaggi, perché per quanto possa sembrare assurdo e fuori luogo per una storia che punta moltissimo sull’impatto visivo di uomini nudi et muscolosi vs uomini in gonnella et sandali, sono proprio i personaggi, sia maschili chee incredibilmente femminili, il suo fulcro, il suo nocciolo, personaggi con un carisma stratosferico che Steven S. DeKnight, marpione che ha imparato a conoscere cosa vuole il pubblico con anni di sceneggiature per Buffy e Angel, modella attraverso dialoghi maestosi e roboanti, duelli verbali che sì, sembrano uscire da un disco dei Manowar, ma incantano e tengono incollato accrescendo il tifo che, tipo dopo la prima puntata, viene naturale fare.
Strana scelta, quella operata da Starz, nel voler chiudere una serie veramente così nuova nel panorama televisivo dopo solo tre stagioni, più una mini a farne da prequel, la penna di DeKnight e il suo team di sceneggiatori aveva cartucce d’inchiostro a sufficienza per far sanguinare ancora copiosamente le vie di Roma per parecchio altro tempo – d’altronde, concentrandosi sui caratteri, viene miracolosamente fin troppo facile mettere un carisma contro un altro e farli scontrare di puntata in puntata con un bordello di tette e teste mozzate a fare da contorno –, tuttavia Spartacus si ferma alla terza tornata, e War of the Damned è sicuramente la stagione migliore, dieci episodi che raccolgono il meglio del meglio e lo frullano per una sinfonia tra il tragico e il solenne che, in più di un’occasione, diventa tipo la cosa più epica di ogni tempo, perché se i villain di turno sono sempre apparsi come figure tormentate, subdole, arriviste o talmente arroganti da non accorgersi della loro debolezza (Glabro, Solonio e ovviamente l’indimenticabile Batiato, forse il solo, vero protagonista della prima stagione e delle mini Gods of the Arena), per il gran finale il lavoro psicologico nella definizione di Crasso e Cesare è meticoloso, ne escono uomini di ferro, potentissimi, boriosi e sfrontati sia quando mossi dal senso dell’onore sia dalla più selvaggia giovinezza.
E con personaggi di questo calibro DeKnight non ha di certo paura nell’indugiare sui precisi dialoghi, già in passato lunghissimi e imponenti, ora pressappoco infiniti, che sempre, pur girando attorno a tematiche tipo honour and glory, fight for blood e rise the sword, rendono le discussioni, le diatribe, gli scontri verbali accesi e complessi, profondi e intriganti – al di là delle classiche, eroiche orazioni per incitare i rispettivi eserciti alla lotta, la stima reciproca provata tra Crasso e Spartaco raggiunge vette di notevole lirismo, così come l’amicizia/odio tra Spartaco e Crisso, o l’ipocrisia di Tiberio e il suo gioco sleale verso Cesare e il padre. E di fronte a tante attenzione dialogica non importano, davvero non importano le tante sbadataggini, i dettagli poco accorti, le imperfezioni sentimentali, le lacune geografiche e quant’altro (se nella seconda stagione Spartaco e compari scalavano il Vesuvio in venti minuti adesso costruiscono dal nulla e in zero secondi un’immensa arena, per non parlare della velocità con cui percorrono in lungo e in largo la penisola, a piedi e con chilometri di coda di schiavi liberati).
Il resto, be’, il resto è Spartacus, l’orgia gratuita, esagerata, spesso davvero sproporzionata di sesso e sangue fa parte dell’opera, e sarebbe ingiusto criticarne anche il più piccolo aspetto, ma se a livello di nudi maschili e femminili ci troviamo sicuramente a un gradino inferiore rispetto al passato, anche la violenza pare essere stata ridimensionata rispetto a certe vette allucinanti toccate nella stagione due (quelle dita che entrano nell’addome modello Ken il guerriero e torcono un pezzo d’intestino per torturare quel povero disgraziato mi perseguiteranno per sempre) per la creazione di un’atmosfera ancora più personale e disturbante – momenti straordinari come la battaglie a scorrimento orizzontale e soprattutto la devastante decimazione dei codardi romani lasciano estasiati e mortificati allo stesso tempo da un impatto visivo che raramente, prima d’ora, tanto in tv quanto al cinema, aveva giocato con tanta inventiva con violenza primigenia e geyser di sangue, atmosfere plumbee e ossa che fuoriescono spezzate, sempre mantenendo costante il tono aulico e solenne dell’opera.
L’esaltazione è strumento necessario per godersi appieno quella che in fondo è soltanto una tamarrata galattica, ma così densa di pathos, pur nella sua volgarità, da diventare tassello importante nell’evoluzione televisiva. Da rivedere, coi lacrimoni, i pugni alzati e gli occhi fuori dalle orbite, incitando Crisso e Gannico a gonfiare i pettorali e a dare mazzate viulentissime sulle crape romane.
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