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Thich Nhat Hanh, Spegni il fuoco della rabbia

Da Colorefiore @AmoreeDintorni
Thich Nhat Hanh, Spegni il fuoco della rabbiaSpegni il fuoco della rabbiaUn altro meraviglioso testo sulla rabbia, che ci offre spunti illuminanti di riflessione su come la saggezza delle tradizioni spirituali, in questo caso la spiritualità buddista, affronta il rapporto con le emozioni. Il Buddha, duemilacinquecento anni fa, sotto l’albero dell’illuminazione, comprese che all’origine dell’infelicità vi sono tre cause: l’errata conoscenza (ignoranza), il desiderio ossessivo e la rabbia.
Thich Nhat Hanh, monaco vietnamita, un grande maestro spirituale del nostro tempo, che vive in esilio a Plum Village in Francia, ci prende per mano e ci conduce verso un rapporto autentico con noi stessi e con le nostre emozioni.
La felicità è una pratica che ha a che fare con la trasformazione della sofferenza e del dolore che alberga dentro di noi. Non è qualcosa che viene “da fuori”, ma al contrario un’arte che possiamo coltivare a partire da dentro e che può arrivare poi ad irradiarsi intorno noi. La felicità non dipende quindi dallo status economico ne tantomeno dal possesso delle “cose materiali”. Se così fosse le persone ricche, famose e benestanti sarebbero uomini e donne felici. Molti di loro invece si suicidano. La felicità non dipende nemmeno dal nostro partner, dai nostri genitori, dal lavoro che svolgiamo.
Attribuire al mondo esterno la causa della nostra felicità è una “menzogna”, un atto di “ignoranza” e di “inconsapevolezza”. Delegare all’esterno la nostra felicità è come chiuderci in una prigione e consegnare ad un altro le chiavi della cella dove noi stessi ci siamo rinchiusi.
La felicità è prima di tutto una pratica che ha a che fare con la “coltivazione interiore” e con la verità su ciò che noi siamo veramente. E qual’è la verità fondamentale espressa in tutte le tradizioni spirituali? Che “tutto è uno”, che tutto nell’universo è intimamente interconnesso, fouri nome dentro di noi.

Tutti sappiamo cosa sia la collera, la rabbia, il rancore, la gelosia. Abbiamo provato queste emozioni se siamo vivi. “Se sei in collera, soffri come se stessi bruciando tra le fiamme dell’inferno; anche quando sei disperato o travolto dalla gelosia sei all’inferno […]” (Pag. 8).
Cosa possiamo fare concretamente per rapportarci in modo corretto con queste emozioni così difficili da affrontare? Possiamo ritovare la nonsta unità interna, entrando in contatto con noi stessi, con tutte le nostre parti interiori e con le loro emozioni.
“Per comprendere e trasformare la rabbia dobbiamo imparare la pratica dell’ascolto compassionevole e imparare ad esprimerci con parole amorevoli […] Ascoltare con compassione può aiutare a soffrire di meno. Con le migliori intenzioni, infatti, non riuscirai ad ascoltare l’altro in profondità se non alleni te stesso nell’arte dell’ascolto compassionevole; se invece sei capace di stare seduto tranquillo e di ascoltare quella persona per un’ora con vera compassione, puoi alleviare molta della sua sofferenza. Ascolta con un solo scopo: permettere all’altro di esprimere se stesso e di trovare sollievo dalla sua sofferenza […] Stai ad ascoltare senza giudicare né biasimare; stai ad ascoltare solo perché desideri che l’altra persona soffra di meno” (Pag. 9).
L’insegnamento buddista formula con grande chiarezza la pratica dell’ascolto compassionevole, della parola amorevole e della pratica del “prendersi cura della propria rabbia”.
Quando qualcuno ci offende, ci insulta, ci giudica, agisce un comportamento che ci urta o compie un’azione che ci fa arrabbiare, il comportamento che ne scaturisce è quello di “farlo soffrire a sua volta, nella speranza che questo riduca la nostra personale sofferenza”. Questo scatena un circolo vizioso e una crescita esponenziale del dolore da entrambe le parti.
“La maggior parte di noi si comporta in questo modo. Non abbiamo alcuna voglia di tornare a noi stessi, abbiamo voglia di correre dietro all’altro per dargli una lezione. Se la tua casa va a fuoco, la prima cosa da fare è cercare di spegnere l’incendio, non correre dietro alla persona che credi l’abbia appiccato. Mentre insegui il presunto incendiario la tua casa finirà distrutta fra le fiamme. Non è saggio! Devi dirigerti verso la casa e cercare di spegnere l’incendio. Lo stesso discorso vale quando ti arrabbi: se continui a interagire con l’altro, a litigare con lui, se cerchi di punirlo, agisci proprio come uno che corre dietro all’incendiario mentre tutti i suoi averi se ne vanno in fumo” (Pag. 24).
Come possiamo tornare a noi stessi? Come possiamo prenderci cura della nostra casa?
Abbraccia la tua rabbia con grande tenerezza: non è il tuo nemico, è il tuo bambino piccolo. È come il tuo stomaco, i tuoi polmoni: quando hai qualche problema allo stomaco o ai polmoni non ti viene in mente di buttarli via. Lo stesso vale per la tua rabbia: la accetti perché sai che puoi prendertene cura, che puoi trasformarla in energia positiva” (Pag. 28).
Così come un agricoltore biologico non si sognerebbe mai di buttare via i rifiuti organici perché è in grado di trasformarli in concime, che si trasformerà in lattuga, radicchio e fiori.
“Anche tu, in quanto praticante, sei una specie di agricoltore biologico” dice Thich Nhat Hanh. Ecco perché la felicità è una pratica: dipende da come noi coltiviamo il nostro giardino interno. Con quale tipo di energia lo facciamo? Con amore o con oppressione? Come ci relazioniamo con le nostre emozioni? Le vogliamo solamente controllare o siamo interessati, per esempio, a comprendere qual è il loro significato, il loro scopo positivo per noi? Come possiamo trasformarle in forze utili per il nostro progresso spirituale?
Devi essere come una mamma che sente piangere il suo bimbo piccolo. Se una mamma, mentre lavora in cucina, sente piangere il suo bambino, posa quello che ha in mano e va a consolarlo […] La comparsa della madre in quella stanza è come un raggio di sole: lei è piena di calore, partecipazione e tenerezza. Per prima cosa prende in braccio il piccolo e lo culla; con quell’abbraccio la sua energia penetra nel bambino e gli da sollievo” (Pag. 29).
Dunque è importante tornare a se stessi e prendersi cura del nostro “bambino interiore”, della nostra rabbia e non c’è cosa più urgente di questa. Le nostre emozioni vogliono “essere viste”, guardate nel modo giusto. La pratica spirituale dovrebbe consistere in primo luogo nel prendersi cura delle proprie emozioni e guardare in nostro bambino interiore, le nostre parti più piccole, con una qualità molto particolare di energia, con uno sguardo d’amore e di compassione.
“Ricordi quando avevi la febbre da bambino? Anche se ti davano l’aspirina o un’altra medicina, non ti sentivi meglio finché non arrivava la mamma e ti metteva una mano sulla fronte rovente. Che bella sensazione! Sembrava la mano di una dea: bastava che ti toccasse e nel tuo corpo entrava un gran senso di freschezza, amore e tanta compassione. La mano di tua madre è la tua stessa mano. Se sai come respirare, come essere mentalmente presente, quella energia è ancora viva nella tua mano […] La madre tiene in braccio il bimbo in presenza mentale, pienamente concentrata su di lui […] È una specialista di bambini lei”, (Pag. 30).
Secondo la psicologia buddista i semi delle nostre emozioni giacciono dentro di noi ed è con i nostri comportamenti e con le nostre azioni che possiamo decidere se innaffiare la rabbia e il rancore oppure la gioia.
“[…] la causa principale della nostra infelicità, della nostra sofferenza non è l’altra persona, è il seme della rabbia dentro di noi. Allora smettiamo di condannare l’altro in quanto causa primaria di tutti i nostri guai, perché ci rendiamo conto che l’altro è solo una causa secondaria” (Pag. 31).
In questo senso, lo scopo di un bravo giardiniere e quello di portare pace e armonia nel proprio giardino. Se riusciamo a comprendere  fondo la sofferenza dell’altro possiamo trasformare la voglia di punirlo nel desiderio di aiutarlo. E molte persone godranno, intorno a noi, se il giardino sarà tenuto bene.
“Molti di noi hanno ancora dentro di sé un bambino ferito. Le nostre ferite possono venirci da nostro padre o da nostra madre. A sua volta anche nostro padre può essere stato ferito da bambino […] non sapendo come guarire le ferite della loro infanzia ce le hanno trasmesse. Se non sappiamo trasformare le ferite che abbiamo dentro finiremo anche noi per trasmetterle ai nostri figli e nipoti. Per questo dobbiamo tornare al bambino ferito che è dentro di noi, per aiutarlo a guarire” (Pag. 35).
Praticare ogni giorno per tornare al proprio bambino, abbracciarlo con tenerezza, ascoltarlo con compassione, parlargli oppure scrivergli una lettera, portarlo con sé a fare una passeggiata, al mare o in montagna, stare con lui con l’energia giusta, l’atteggiamento dell’ascolto profondo e l’energia della “presenza mentale”.
Recensione di: Thich Nhat Hanh, Spegni il fuoco della rabbia, Mondadori, 2002

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