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Thinking of working for free? No, thanks

Da Aboutaphoto

Thinking of working for free? No, thanks

Articolo del 12 gennaio 2011 di APhotoEditor


Mi sono accorta che stavo usando questo blog solo per promuovere gli eventi o le iniziative a cui ho preso parte e mi sono accorta che da tempo volevo dire quello che sto per scrivere. Probabilmente alcuni non saranno d'accordo con me, ma pazienza; sono aperta al dialogo. Potrei dilungarmi, se vi annoiate, cambiate canale.
Ciò che mi ha fato decidere definitivamente di metterlo nero su bianco, è stato la lettura di questo articolo e soprattutto i commenti. Non voglio entrare nel merito della storia, ma credo che tra piangersi addosso perché si guadagnano 300 euro al mese e insultare chi ha deciso di vivere inseguendo i propri sogni (cosa che denota coraggio e non volontà di vivere sulle spalle di qualcuno) ci sia una terza via, cioè quella di inventarselo un lavoro.Penso, senza esagerare, di aver mandato nella mia vita, un migliaio di curricula, mi avrà risposto il 2% e di questi la maggioranza non aveva possibilità o bisogno di personale oppure mi proponeva un lavoro gratuito o a provvigione. Questa è la situazione in Italia di chi non ha conoscenze e raccomandazioni, non veniamoci a raccontare storie. Senza contare quelli che “ce provano”, che ti fanno lavorare in collaborazione occasionale o con un accordo a voce e poi si inventano che si erano pattuiti meno soldi o che erano lordi e non netti, ecc.A questo punto, con una rabbia che mi ha mangiato 1/5 di fegato, ho deciso che basta. Ero stufa di preparare mail personalizzate per non ricevere neppure 2 righe di risposta, ero stufa di andare a un colloquio a farmi fare domande del tipo “Mi dica tre pregi e  tre difetti del suo carattere”, “Perchè dovremmo assumerla?” o “Lei si chiama Anna Mola, sembra una cantilena, lei cosa ne pensa?” (l'ultima mi è successa davvero, non sto scherzando). Ero stufa e così mi sono detta “io voglio lavorare nella fotografia, ho studiato per farlo e so che lo farei con passione e quindi mi rivolgerò a chi fa fotografia davvero, offrendo le mie capacità e il mio impegno”. E così ho cominciato a – udite udite – ricevere risposte alle mie mail, a conoscere, stringere mani, poi a scrivere per fotografi e infine è venuta la parte organizzativa.
E fin qui, credo, nessuno ha niente da recriminare, ma ora arriva la parte in cui forse ce l'avrete. Ripeto e premetto: “io voglio lavorare nella fotografia, ho studiato per farlo e so che lo farei con passione e quindi mi rivolgerò a chi fa fotografia davvero, offrendo le mie capacità e il mio impegno” (se qualcuno vuol vedere il mio c.v., prontissima a mandarglielo). Detto ciò: io non lavoro gratis. Banale? Forse, ma meglio specificare e svelare anche alcuni aspetti che si scoprono stando nel “back stage”. Scrivere una presentazione, fare una selezione, curare una mostra, organizzare un evento sono lavori e come tali vanno retribuiti. Non chiederei mai a un fotografo di farmi dei ritratti gratis, quindi perché non dovrei pretendere altrettanto? La mia attività è fortemente, anzi totalmente “cucita” sull'artista con cui sto collaborando; non mi piace definirmi il curatore di un evento, sono il curatore di una persona ed è quella persona che, se crede davvero in quello che fa e in quello che posso fare io, mi ricompenserà per questo compito. Penso anche, ritornando al discorso precedente, che il mondo del lavoro stia cambiando e quindi anche quello in campo artistico e che l'esposizione tradizionale in galleria tradizionale debba affiancarsi a quelle realizzate in modi e spazi alternativi, su cui però bisogna avere il coraggio di scommettere. Ma su questo potrei tornare in altri post.Rispondo qui, ora e insieme, ad alcune obiezioni fatte o possibili:- “le gallerie serie non si fanno pagare”: a parte che io – lo potrei scrivere a caratteri cubitali – non ho una galleria, ma è un'affermazione pronunciata spesso da chi non conosce così bene il mondo dell'arte e comunque non è del tutto vera. Cominciamo col dire che i tempi in cui Lanfranco Colombo (imprenditore appassionato di fotografia) dirigeva “Il Diaframma” sono finiti, finish, caput. Nessuna galleria accetterà mai di esporre le opere di qualcuno, sostenendo i costi di un'esposizione se non ha la certezza, o almeno la supposizione, di poterle vendere e quindi guadagnare in percentuale. Quelli che credevano negli artisti come “creatori/espressioni di nuove tendenze, capaci di interpretare il comune sentire, il disagio umano, l'idiosincrasia contemporanea” non ci sono più o più probabilmente tra galleristi non sono ci sono mai stati, se non nei comunicati stampa. Va detto poi che molte gallerie italiane non lo indicano espressamente, ma alla richiesta di ospitare una mostra chiedono dei veri e propri affitti più o meno alti, offrendo non una curatela, ma semplicemente dei muri e la posizione. Va detto anche che ci sono fotografi che si riempiono la bocca di discorsi sull'arte per l'arte, ma poi vendono e pagano spazi espositivi e curatori. Poi ci sono le mostre che espongono i lavori dei partecipanti (paganti) a un corso/workshop/concorso o quelle realizzate in vari luoghi ma allo stesso curatore corrispondono gli stessi artisti e la cosa un po' mi puzza. Apprezzo allora di più queste gallerie che dicono come stanno le cose senza tanti perbenismi inutili.- “come fai a selezionare? Se un fotografo paga potrebbe essere solo un dilettante che vuole vedere le sue foto appese in giro e non avere un valore oggettivo”: intanto chi lo decide il valore effettivo? In secondo luogo, la selezione è abbastanza naturale: un professionista riconosce e ha di di fronte un professionista che ama il suo lavoro o un ciarlatano inesperto.- “ma gli sponsor, i finanziamenti pubblici?”: non so se qualcuno si è accorto che siamo in tempi di crisi, parlate a qualcuno del mestiere di finanziamenti pubblici e otterrete una sonora risata e per gli sponsor: se una galleria non è disposta a tirar fuori un euro, come pensate di convincere a farlo Mentadent o il panettiere sotto casa?- “in questo modo solo chi se lo può permettere farà mostre, gli altri, per quanto bravi, non potranno”: a parte che a questo punto dipende dalla cifra, ma sì, esattamente come chi se lo può permettere andrà da un fotografo a farsi fare un ritratto, gli altri, per quanto interessanti, no. Esattamente come chi se lo può permettere frequenterà scuole di fotografia serie e comprerà attrezzatura altrettanto seria, gli altri, per quanto potenzialmente geniali, no.- “se ti piace questa attività, dovresti realizzarla gratis”: quindi il parrucchiere, il panettiere, lo stilista che ama il suo lavoro dovrebbe lavorare gratis?- “organizzami pure la mostra, sulle opere vendute terrai una percentuale”: sul lavoro a provvigione ho un esempio efficacissimo: mettiamo che il proprietario di un ristorante vada da un panettiere e gli dica “dammi tot. chili di pane, a seconda di quante persone verranno a mangiare, ti pagherò in percentuale.”, a chi di voi sembra un discorso ragionevole?- “è normale, per un artista, avere anche dei progetti personali o a cui tiene molto umanamente o per cui può ottenere prestigio, che segue senza una ricompensa”: se è un progetto personale (come questo blog) è ovvio che nessuno mi pagherà, per gli altri scopi posso anche essere d'accordo ma innanzitutto li scelgo io, non mi vengono richiesti, e poi sono un'eccezione, non la regola.Sarebbe fantastico se ci fossero imprenditori e facoltosi ereditieri con gusto e creatività che decidano di scommettere su nuovi talenti? Certo che lo sarebbe! Sarebbe meraviglioso se le istituzioni pubbliche finanziassero l'arte e la cultura, assumendosi i rischi e le perdite e garantendo una formazione gratuita ai meritevoli? Certo che lo sarebbe! Ma non è così, per tanti motivi, facciamocene una ragione.
L'avevo detto che sarei stata lunga... naturalmente tutto ciò che ho detto è frutto della mia personale esperienza e di come io vedo le cose, mica della bibbia, per cui se volete confrontarvi con me e parlarmi del vostro punto di vista, io sono qui.

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