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Un Dna che il regista americano non ha mai perso, e che anzi continua ad essere il segno di distinzione di un cinema fatto di storie e di scrittura. Caratteristiche che un film come Third Person" conferma nell'articolazione della trama, suddivisa in tre storie che nascono e si sviluppano dall'incontro reale e figurato di sentimenti e vicissitudini di personaggi costretti a subire gli smacchi di un esistenza - alla maniera di capolavori come "Million Dollar Baby" e "Crash" - costellata da rimorsi e sensi di colpa, alla quale tutti si oppongono con un pentimento quasi mai adeguato alla posta in gioco. Ma non solo, perchè nella distanza, solo apparente, che separa il quotidiano dei vari personaggi, Haggis continua ad indagare i motivi di un esistenzialismo in cui la volontà di riscatto si scontra con la difficoltà di operare un vero cambiamento. Così, se il punto di partenza dei singoli episodi è lo stesso, con l'espiazione dell'antico peccato direttamente legata all'assenza della persona amata (un figlio, una moglie, un marito), "Third Person" segue strade differenti, dividendosi per i rivoli di una natura umana mutevole ed eterogenea che non mancherà di manifestarsi nelle sue molte contraddizioni.
Dopo il sottovalutato "The Next Three Days" Paul Haggis torna all'antico con una struttura che, nelle continue ellissi narrative e nella dilatazione dell'elemento temporale ben si addice allo spaesamento emotivo dei personaggi, acuito questo, da un senso di sradicamento in parte derivato dalla scelta di collocare i personaggi (americani) al di fuori del loro abituale contesto; buona parte del film è infatti girato in Europa (Parigi e Roma) e in serie continua di non luoghi che diventano territorio di una condizione umana universale e condivisa. Se la direzione degli attori e la capacità di fondere storie diverse in un unico racconto rimane inalterata, questa volta l'abilità di mantenere alta la tensione drammatica - con l'utilizzo di canoni che potrebbero essere quelli di un thriller esistenziale - è in parte ridotta da una riconoscibilità - formale e stilica - che, nella sua ricercata perfezione, rischia di diventare maniera.
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