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Thirteen Days – La crisi dei missili di Cuba

Creato il 07 giugno 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

Tredici sono i giorni che, nell’ottobre del 1962, tennero in sospeso la nazione americana e tutto il resto del mondo. Quella che venne in seguito definita come Crisi Cubana portò vicinissimo il rischio di un conflitto nucleare tra USA e URSS che avrebbe avuto conseguenze inimmaginabili. Prologo della pesante crisi diplomatica tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, fu una ricognizione svolta da due aerei spia U-2 (statunitensi) sopra lo spazio aereo cubano. La ricognizione permise di fotografare la presenza di alcuni missili nucleari sovietici a medio raggio e la costruzione in atto dei relativi sistemi di lancio.All’improvviso, quasi l’intero territorio americano rischiava di trovarsi sotto l’effettiva minaccia di apparati missilistici nemici. Dopo la vittoria di Fidel Castro nella rivoluzione cubana del 1959, gli Stati Uniti erano desiderosi di soffocare il nuovo governo, unico stato socialista del continente americano. John Fitzgerald Kennedy, approvò un piano di invasione di Cuba addestrando e confidando sul supporto degli esuli. Lo sbarco delle armate anti-castriste avvenne il 17 aprile 1961, in un punto dell’isola nominato Baia dei Porci. L’operazione si rivelò però un fallimento e Cuba, vistasi minacciata, concordò con Mosca (nell’estate del 1962) l’installazione di alcune batterie di missili nucleari sul proprio territorio. Il 15 ottobre 1962 i rilievi fotografici confermarono che i sovietici stavano completando la costruzione di basi missilistiche per il dispiegamento di missili a media gittata (armi d’offesa, dunque), già trasportati sull’isola. L’escalation degli eventi di quei giorni fu allarmante e i personaggi pubblici più importanti vi si trovarono tutti coinvolti. Il 16 ottobre un gruppo di stretti collaboratori del presidente Kennedy si riunì in una seduta speciale in qualità di Excom (Executive Committee del National Security Conuncil). Facevano parte di questo gruppo il segretario di Stato Dean Rusk, il segretario della Difesa Robert McNamara, il direttore della CIA John McCone, Bob Kennedy ed un ristretto numero di consulenti politici, militari e diplomatici. La situazione da affrontare era tra le più difficili e delicate: quale via era la migliore per fermare il pericolo di quei missili (con un raggio di azione superiore ai duemila chilometri), probabilmente operativi in poche settimane? La capacità dei missili sovietici era di copertura quasi totale del territorio americano: attraverso Cuba, l’URSS aveva improvvisamente un enorme potenziale di pressione nell’ambito della sfida tra le due potenze. Si doveva affrontare quello che sarebbe passato alla storia come il picco più alto della tensione durante Guerra Fredda. Si discussero le varie opzioni: bombardamento immediato delle postazioni, appello alle Nazioni Unite per fermare l’installazione, blocco navale, invasione di Cuba. Il bombardamento immediato venne subito scartato, così come un appello alle Nazioni Unite, che avrebbe portato via molto tempo. La scelta venne ridotta a un blocco navale e un ultimatum, o a una invasione su vasta scala. Venne scelto infine il blocco, anche se ci fu un numero di falchi che continuarono a spingere per un’azione più dura. In questa fase si cercò di mantenere segreta la notizia, affinchè ne l’URSS ne l’opinione pubblica potessero sapere nulla prima che si fosse deciso come muoversi. Solo il 22 ottobre, con un discorso alla nazione del presidente Kennedy, in parallelo a un ricorso presentato alle Nazioni Unite e ad una lettera personale a Chruscev, la notizia diverrà di pubblico dominio. Dopo giorni di tensione internazionale, tra minacce di intervento militare ed inutili tentativi di mediazione da parte dell’ONU, il presidente Kennedy decretò il 23 ottobre il blocco navale dell’isola, chiedendo contemporaneamente lo smantellamento delle basi missilistiche. La decisione era quella di fissare una linea di quarantena, oltre la quale gli USA non avrebbero concesso il passaggio delle navi sovietiche dirette a Cuba se cariche di armamenti. Se le navi sovietiche avessero provato a forzare il blocco, il conflitto armato tra le due superpotenze sarebbe drammaticamente ed immediatamente cominciato. Kennedy parlò al popolo statunitense e al governo sovietico, in un discorso televisivo del 22 ottobre, confermando la presenza dei missili a Cuba e annunciando che era stata imposta una quarantena di 800 miglia attorno alla costa cubana, avvertendo inoltre che i militari “erano preparati per ogni eventualità”, e condannando la “segretezza e l’inganno” sovietici.

Quando Kennedy parlò apertamente della crisi, il mondo intero entrò in uno stato di terrore. La gente iniziò a parlare e preoccuparsi apertamente di un’apocalisse nucleare, ed esercitazioni per una tale emergenza si tennero quasi quotidianamente in molte città. Il caso venne definitivamente provato il 25 ottobre, in una sessione d’emergenza dell’ONU, durante la quale l’ambasciatore statunitense mostrò fotografie delle installazioni missilistiche sovietiche a Cuba, subito dopo che l’ambasciatore sovietico Zorin ne aveva negato l’esistenza. Chruščëv inviò delle lettere a Kennedy il 23 e 24 ottobre, sostenendo la natura deterrente dei missili a Cuba e le intenzioni pacifiche dell’Unione Sovietica; comunque, i sovietici avrebbero subito dopo fatto pervenire due differenti proposte al governo americano. Il 26 ottobre offrirono di ritirare i missili da Cuba in cambio della garanzia che gli USA non avrebbero invaso Cuba, né appoggiato un’invasione. La seconda proposta venne trasmessa da una radio pubblica il 27 ottobre, chiedendo il ritiro dei missili statunitensi dalla Turchia in aggiunta alla richiesta del giorno prima. Llewellyn Thompson, ex ambasciatore a Mosca, riuscì a convincere Kennedy a patteggiare il ritiro dei missili russi da Cuba in cambio della promessa americana di non invadere mai più l’isola. Tuttavia la crisi raggiunse l’apice il 27 ottobre, quando un U2 statunitense, per iniziativa di un ufficiale locale, venne abbattuto a Cuba e un altro che volava sulla Russia

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venne quasi intercettato. Il generale Thomas Power, a capo del Comando Aereo Strategico USA, mise le sue unità in stato di allerta preparandole per un’immediata azione senza consultare la Casa Bianca. Allo stesso tempo, le navi sovietiche si stavano avvicinando alla zona di quarantena. Kennedy rispose accettando pubblicamente la prima delle offerte sovietiche e inviando il fratello Bob all’ambasciata sovietica, per accettare la seconda in privato: il piccolo numero di missili Jupiter in Turchia sarebbe stato rimosso. Le navi sovietiche tornarono indietro e il 28 ottobre Chruščëv annunciò di aver ordinato la rimozione dei missili sovietici da Cuba. Le lancette dell’orologio dell’apocalisse tornarono ad indietreggiare.

In “Tredici giorni” il regista Roger Donaldson racconta la crisi dei missili soprattutto a partire da quello che avvenne nella Stanza Ovale della Casa Bianca, dove regnò la vera e intima tensione dei tre protagonisti più importanti di tutta la vicenda: J.F. Kennedy, suo fratello Bob, allora Procuratore Generale e Kenneth O’Donnell, Segretario Particolare del Presidente. La figura di quest’ultimo, interpretato da Kevin Costner, domina incontrastata. Attraverso lo sguardo del lealissimo segretario, vero mediatore nei retroscena della Casa Bianca, si sviluppa il “dietro le quinte” della storia. O’Donnell fu uno dei più fidati consiglieri del Presidente e la sceneggiatura è stata costruita anche sulle interviste del Segretario rilasciate a Sander Vanocur, famosissimo corrispondente della NBC, che seguiva gli avvenimenti della Casa Bianca dei Kennedy. Si sviluppa in questo modo, all’interno dell’episodio storico, una storia più intima, in cui uomini di grande potere, le cui azioni potevano segnare non solo il proprio paese ma anche tutto il resto del mondo, cercarono di mediare e trovare una via d’uscita camminando sul filo sottile che divide forza, diplomazia e compromesso. Tuttavia nel film è evidente l’esaltazione dell’umanità di Kennedy che pervade ogni scena del film, il presidente americano indubbiamente dotato di intuizione politica e sentimento umanitario è trasformato in un cavaliere senza macchia e quando gli sono concessi timori e paure è solo per renderlo ancor più affascinante e grande. Lo spettatore guarda infatti ai due Kennedy con gli occhi di questo americano intelligente, onesto, pacifista e solidale, in lotta contro i cattivi per salvare tutti i buoni.Tra manovre nascoste, lotte di potere tra falchi e colombe e le azioni quotidiane di ognuno dei protagonisti politici della Crisi, si snoda il racconto che si trasforma a tratti in thriller per passare poi di colpo al tipico film d’azione, tra voli acrobatici degli aerei militari americani in perlustrazione che sfuggono rocambolescamente ai razzi lanciati contro di loro. La retorica non manca mai nei film Made in USA, e questo, più americano degli americani non poteva esserne certo privo. Ma la storia è comunque avvincente e coinvolgente e si possono sopportare quei minuti di buonismo e auto-incensazione per conoscere sotto una luce diversa un episodio della storia non solo americana.



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