THIS IS THE END, ovvero Hollywood goes to heaven

Creato il 28 settembre 2013 da Einzige
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Ovvero come ti faccio un film comico coi demoni stupratori, le possessioni e le trombe dell'apocalisse senza passare per un cojone.
Le luci di Hollywood diradano in una nebbiolina di miseria umana non appena la situazione va fuori dal controllo dell'iPhone: la routinaria tranquillità delle piccole liti, dei dissapori e delle invidie di quella fabbrica del falso che è la valle di Los Angeles (ma non si fa alcuna fatica ad immaginarla come un paradigma del mondo intero) viene rotta dall'Improbabile - nomen dietro il quale si celano una miriade di altre definizioni della nostra modernità liquida e liquefatta e frastornata dagli olezzi del capitale, ossia l'Altro, il Diverso, il Marginale e, più d'ogni altra cosa, l'Inspiegabile, quel che la nostra società scientista non comprende e perciò denigra (e qui mi riferisco, voglio dirlo espressamente, alla spiritualità intesa in senso totale, e non alle sottomarche faziose delle etichette religiose), ma non è comunque questo il punto del discorso, quindi vabbé 'sticazzi - e si scatena la predizione hobbesiana dell'homo homini lupus, ancor più più accentuata dalla villana ipocrisia dell'american dream sostanziato nelle ville e nei raggiungimenti materiali dei personaggi di Hollywood: quando s'apre il cielo e Satana con tanto di zampe da capretto e tentacoli mostruosi scende a fare una capatina, si rivelano in tutta la loro meschinità.
Perché è questo che ti fanno Rogen e Goldberg (i due registi, ndr): una parabola morale dentro un film cazzone à la Apatow (ma senza Apatow) dentro un film di mostri.
Ecco. Secondo il mio modestissimo parere, non vale troppo la pena soffermarsi sulla portata esemplare della parabolina morale, quanto più è necessario sottolineare che ve n'è una: ragazzi, c'è.
L'industria cinematografica, perché di questo stiamo parlando, è giunta a questo livello. (Sì, lo stiamo facendo: stiamo prendendo il film dell'allegra combriccola di comici Rogen-Baruchel-Franco-Robinson-McBride per fare un punto sullo stato del cinema a.d. settembre 2013, abbiate pazienza e se non ce l'avete premete pure ESC, tanto lo so che per leggere di cinema andate sui 400calci ché fa molto più ridere di me).
I riferimenti pop ormai sono stati sbolognati da quando essere nerd è diventata una cosa à la page, quindi c'è uno sbizzarrirsi appresso le citazioni più svariate e trasversali dell'arte e della pop culture più o meno recente.
THE EXORCISM OF JONAH HILL

Tarantino.
Basta evocare il suo nome per spiegarci un bel po' di cose a visione terminata.
Il melting pot: è così che il vecchio adagio ritrova lucentezza e veridicità: l'arte è novantanove per cento traspirazione e un per cento ispirazione.
I ragazzzi non hanno fatto nulla di ché, in fin dei conti.
Hanno preso moltissime idee prese da moltissime fonti diverse, l'hanno assemblate e poi ci hanno fatto spanciare dalle risate.
L'iper-attivisimo cerebrale e, pertanto, verbale straripa ad ogni situazione e diviene il fil rouge corposissimo che unisce la frammentazione multi-livello della narrazione che si mescola e tutto fagocita al suo interno.
E quindi, Tarantino. Il quale - detto fra noi - poi, non si limita a rievocare o a fantasticare, ma rimescola poi tutte le carte della Storia, laddove per storia parliamo proprio della Storia che s'insegna nelle cosiddette scuole.
L'artista è artista perché è deus ex machina del mash-up: ce l'aveva insegnato l'indimenticato Burroughs che l'adoperò scrivendo, ci rinverdisce il concetto Tarantino ad ogni opus che firma e quindi sì: l'arte a.d. 2013 si ritrova nell'idea di poiesi tout court:
CREAZIONE.
Come ci dice Franco - egocentrico misticheggiante nel film - anche i tuoi due genitori che s'uniscono e fanno nascere te fanno arte. Né più né meno.
Tarantino e l'accoppiata Goldberg-Rogen (ma anche tutta l'accollata di compari che compare nel film) sono i critici amatoriali - i blogger piccini picciò che vivono dietro le parole che appaiono su questi schermi: e loro stanno facendo film, e li fanno esattamente come a noi (a me) piacerebbe che fossero.
Dei cazzoni, che fanno cose esilaranti, fumano erba e dicono sporcherie.
Ma non dimentichiamoci che l'arte è un'industria (e che industria).

Fintantoché releghiamo l'arte nella sfera dell'intelletto e del lavoro immateriale ci dimentichiamo quanti soldi ci girano attorno.
Soldi che girano attorno a un marchingegno truffaldino ben oliato e sapientemente gestito che è il cinema. Essendo l'arte relegata all'Immateriale come categoria è oramai assodato che non può aspirare a nessuna forma di legittimazione sociale che non sia essere tale per essere sé stessa: art for art's sake, and stop.
E qui, in "This is the end", la presunta legittimazione giunge nelle vesti della parabola morale, che tutto salva e santifica, tale che possiamo permetterci i Backstreet Boys suonare in paradiso.
Qui vi volevo.
L'arte, ora - per quanto capisca che faccia storcere il naso definire l'esemplare qui esaminato come tale - si legittima auto-proponendosi come "suggerimento morale": l'arte diventa politica. E anche l'apparenza innocua di questo film - catchy, accattivante, weird e nerd - veicola un concetto: non esiste opera d'arte neutra, perché l'uomo non è neutro - l'uomo non è vuoto strumento, non è una macchina, l'uomo condensa in se la pluralità dell'esistente e del percepito, e finché l'uomo creerà arte, l'arte sarà un messaggio politico.
Anche i film Rogen-Goldberg, sì, anche loro saranno messaggio politico.
Come d'altronde i vari "Natale in..." e tutta la pletora di cosiddette vanzinate, sulle quali torneremo più avanti ché quelle scoperchiano un paio di milioni di vasi di Pandora fumanti.
P.S.: scusate per il pippone, ma comunque v'avevo avvertito. Nel senso, questa era una roba che pensavo e mi ri-menavo in testa ad ogni piè sospinto e ho semplicemente colto l'occasione con questo film (conoscendomi, e per quanto ne so, avrebbe potuto essere benissimo questo).
E invece è stato questo, siate buoni, la prossima volta parliamo di quanto sono cattivi i No Tav e di come invecchia bene la Sofia Loren.

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