L’occasione della vita. E’ questa l’urgenza più evidente che muove il nuovo film di Paolo Sorrentino. Un lasciapassare guadagnato sul campo, tra una platea di intenditori per nulla condizionati dalle faccende di casa nostra. “Il divo” era riuscito a parlare la lingua dei Santi e si era imposto con la forza delle idee. Questa volta invece sono proprio quelle che vengono a mancare. Rivestite dei soliti abiti luccicanti, le evoluzioni del maestro napoletano, rimangono nell’aria per mancanza di peso specifico.
Un'ex rock star, abulica ed un po’ rimbambita si mette in viaggio per scovare il criminale nazista, colpevole di aver perseguitato il padre passato a miglior vita in apertura di racconto. A Sorrentino basterà questo spunto per allestire un circo di personaggi altamente stravaganti, ed in sintonia con il mood del protagonista impegnato in una ricerca a forte valenza personale ed introspettiva. Una formula risaputa, quella del paesaggio americano associato ad una struttura “on the road”, e qui funzionale alla sovrapposizione tra regista e personaggio, entrambi alla scoperta di un mondo sconosciuto. Una sinergia di parole e soprattutto di sguardi, da cui ci si aspetterebbe qualcosa di più della riproduzione di un immaginario che non diventa mai personale, ma riproduce paesaggi e silenzi appartenenti ad altri. Ed è proprio questo scollamento tra lo stupore di Cheyenne/Sorrentino e una resa visuale soprattutto mediatica, a rendere le immagini pur belle del regista napoletano delle bolle vuote, prossime a scoppiare senza aver lasciato il segno. E mentre questo accade il film si lascia passare attraverso un corollario di incontri caratterizzati quasi esclusivamente dalla grottesca stravaganza della situazioni – pensiamo al tipo tatuato del bar, o all’indiano che senza dire una parola si ficca nel pick up di Cheyenne per un passaggio verso il nulla, o ancora al bambino sovrappeso che offre al cantante l’opportunità di riappropriarsi dell’antico mestiere – ma privi di qualsiasi specificità psicologica o narrativa. Ed anche la conclusione, fredda come il paesaggio innevato in cui si svolge, con il nazista costretto ad un inesorabile contrappasso dopo aver elencato con precisione enciclopedica i motivi delle sue azioni, conferma una vaghezza tenuta insieme dalla maschera clownesca dell’attore oscarizzato e da uno swing musicale, quello si davvero degno di tale allestimento.
Paradossalmente però "This must be the place" si avvia ad essere il miglior risultato commerciale del regista, mentre all'orizzonte già si affaccia la promozione per un avventura da Oscar. A conferma di un film più spendibile sul piano commerciale che artistico, ed anche una risposta indiretta alla frase pronunciata da Cheyenne a proposito di un'artisticità perseguita a tutti costi. Questa volta Sorrentino ha deciso di lavorare.