Titolo: Thomas Jay
Autore: Alessandra Libutti
Editore: Fazi
Anno: 2012
L’ingegnosa campagna pubblicitaria messa a punto da Fazi Editore ha creato molto scompiglio. C’è stato chi ha scagliato strali al veleno e chi ha gridato al tradimento.
Personalmente, quando ho scelto di leggere Thomas Jay non sapevo nulla delle notizie diffuse sul web né tantomeno immaginavo di poter avere a che fare con la vera storia di un fantomatico scrittore condannato all’ergastolo. Ho deciso di leggerlo semplicemente perché la trama mi sembrava interessante e la copertina mi ha intrigato.
Ebbene, la conseguenza del mio scarso interesse per il gossip letterario (e non solo) è stata positiva. Ho avuto modo di leggere il testo senza alcun condizionamento, e scevro da condizionamenti è dunque il mio giudizio: Thomas Jay è un bel libro.
Dopo uno sfortunato esordio, il romanzo di Alessandra Libutti è stato rivalutato e (giustamente) salvato dall’oblio, conquistando il ragguardevole traguardo della finale al Premio Calvino.
Le prime pagine sono eccellenti. Thomas Jay ci racconta le giornate spensierate dell’infanzia e le sfortunate vicende che lo conducono dritto in riformatorio, fino all’incontro con quel personaggio straordinario che è Max. Sarà proprio il colto e sensibile proprietario della lavanderia a trasformare un ragazzo impaurito e ribelle nell’autore del capolavoro In the Dim, in the Light.
Quando ho visto (perché mi è sembrato davvero di vederlo) Thomas Jay davanti alla bellissima libreria di Max, mentre leggeva rapito i titoli dei libri e li memorizzava nella silenziosa attesa di poterne avere prima o poi uno tra le mani, mi son detta: a questo romanzo assegnerò senz’altro cinque stelline.
La forma epistolare crea un’atmosfera di intimità e calore, le parole sono sempre scelte con cura e incasellate senza sforzo, lo stile è leggero e rigoroso al tempo stesso.
Nella seconda parte il registro cambia, e Ailie, la studentessa a cui sono destinate le lettere che compongono la prima parte del libro, diventa co-protagonista.
La variazione non mi è dispiaciuta, anzi l’ho trovata piacevole, solo che il miele comincia a contaminare i dialoghi, e la storia delle ripetute fughe e dei sentimenti che vi stanno alla base a tratti si fa pesante. In più Samuel Atkinson, il secondo maestro che Thomas Jay incontra sul proprio cammino, appare poco convincente. Peccato.
Resta comunque innegabile la gradevolezza della lettura e l’originalità dell’idea. Consigliato.
Voto i-LIBRI: