Così, vent’anni dopo l’esordio con il riuscito e viscerale “Enrico V” e una carriera proseguita fra i vari Shakespeare ed esperimenti di cinema quasi “da camera” (L’altro delitto, Gli amici di Peter, Sleuth), Branagh si cimenta oggi con il cine-fumetto, genere “aereo” per eccellenza che negli ultimi anni ha dato non poche soddisfazioni a tanti registi in vacanza da se stessi (Ang Lee, Sam Raimi) o ad autori che del supereroe ne hanno fatto un crogiolo di ossessioni personali (Christopher Nolan). Nel 2011 Branagh incontra Thor, personaggio ancora inesplorato dell’universo Marvel e pronto anche lui a unirsi al team dei “Vendicatori” di prossima venuta (quello che dovrebbe vedere riuniti nella stessa pellicola calibri come Hulk, Iron Man, Spiderman e il prossimo Capitan America). Il nordico si addice evidentemente a Branagh che nel figlio di Odino deve aver visto e trovato l’incarnazione muscolare di un principe shakesperiano, qui magari più affascinante (il misconosciuto e prestante Chris Hemsworth) quanto più irruente e superbo. Quale migliore compagna poi per far risaltare ancora di più l’invulnerabilità del Dio del tuono se non la fragile e minuta Natalie Portman appena reduce dagli sconquassi psicologici di Black Swan.
Che Thor rappresenti soprattutto l’ennesimo (ed indovinato) alter-ego del regista, fatto però stavolta di carta e balloon, lo dimostra anche lo stesso impianto visivo del film dove è tutto un trionfo di ori e blu cobalto dei cieli, armature imponenti e soldati a ranghi serrati, il tutto sullo sfondo di una Asgard monumentale come una città storica ma fiabesca come si conviene ad un regno del cielo. Nonostante l’apparato visivo ricercato (vedi anche il fastoso Hamlet), il cineasta pecca assai meno di superbia rispetto ad altre sue opere passate e si approccia al fumetto con una devozione quasi inconsueta. Nel piegarsi infatti alla sacralità letteraria dei comics (i fan non perdonano mai le troppe libertà prese rispetto alla fonte), Branagh mira a realizzare essenzialmente un blockbuster non solo ad uso esclusivo degli adepti e soprattutto ben equilibrato nel dosare narrazione ed effettistica necessaria al racconto. Il suo Thor, nel corso della storia e del suo intrecciare il destino con quello degli umani, ci diviene via via più simpatico e si finisce per provare empatia anche per le sue vicende sentimentali che lo vedono distaccarsi giocoforza dai suoi affetti terreni.
E se Thor alla fine viene assunto nuovamente fra gli dei potremmo dire che anche Branagh, firmando un prodotto in linea sia con gli standard hollywoodiani che con la sua personale epica della visione (oltre che un limpido esempio di fumetto al cinema proemio di capitoli successivi alla maniera del primo X-Men), finisce col riscattare la sua recentemente un po’ offuscata notorietà di cineasta, facendo breccia nel cuore di quegli adolescenti che non hanno mai condiviso con lui un verso dell’Enrico V o i palpiti di una Rosalinda. Certo in “Thor” Shakespeare qua e là fa capolino fra risentimenti fraterni, colpe dei padri e superbia castigata ma si tratta di psicologismi lievemente accennati destinati ad essere eclissati dall’apparato visivo del film e dal suo intento di essere essenzialmente un lussuoso prodotto di intrattenimento globale. Fra umani cattivi, scienziati buonisti e la promessa d’amore di un cigno bianco, Thor si candida dunque a nuova figura di riferimento dei cinecomics ed anche se non sarà più Branagh (come da lui recentemente annunciato) a dirigerne le prossime gesta, lo scopo di questo inquieto regista irlandese è stato comunque raggiunto: celebrare se stesso nella migliore cornice visiva possibile. As You Like It…