Abbiamo intervistato per voi sei autori di thriller, nel tentativo di comprendere cosa spinga uno scrittore a cimentarsi in un genere tanto complesso. Il termine deriva dal verbo inglese “to thrill”, che significa “rabbrividire”. “Suspense”, tensione ed eccitazione sono gli elementi principali della trama.
Il thriller può essere a sua volta suddiviso in sottogeneri: thriller psicologico, mistery, thriller politico e altri ancora. Ma poco importa. Chi opera in questo “settore” si propone di stimolare gli stati d’animo nel fruitore, infondendo un alto livello di aspettativa e di incertezza.
L’obiettivo è mantenere alta l’attenzione, e per questo il ritmo deve essere veloce, incalzante e adrenalinico. Insomma, vietato dormire.
La domanda che abbiamo rivolto ai sei scrittori di thriller è la medesima: qual è la tua idea di “suspense”, quando scrivi una storia? In sostanza, quali sono secondo te gli ingredienti per realizzare un buon romanzo thriller?
Stefano Pastor, autore di libri di successo come “Il giocattolaio” e “Figli che odiano le madri” (Fazi Editore) risponde: “Un thriller non è un giallo. Un thriller non tende alla scoperta dell’assassino, sono molto più rilevanti gli eventi che conducono a questa scoperta. Si potrebbe dire che un thriller è l’esatto opposto di un giallo. I gialli sono prevedibili, ovvero seguono uno schema di indagini molto rigido, devono fornire indizi per consentire ai lettori di competere con l’autore. Un thriller no. A mio parere un thriller deve stupire i lettori, coinvolgerli, renderli partecipi degli eventi. Deve rendere l’enigma irrilevante, affascinarli con quello che sta accadendo, fino a considerare secondario il perché. Perfetto esempio è “Il silenzio degli innocenti”, uno dei migliori thriller mai scritti, ma anche “Psyco”, che considero un capostipite. In entrambi c’è un assassino da scoprire, ma non è di certo il fine della storia, è l’evoluzione della trama quello che li rende unici. Quando scrivo un thriller io penso a questi libri. A sorprendere il lettore, a non lasciare nulla di scontato. E strizzo un occhio anche ad Agatha Christie, perché un buon movente e un assassino inaspettato non fannomai male. Dalei mi ispiro anche per la varietà, ovvero l’assassino non deve essere sempre lo stesso tipo di personaggio, bisogna differenziarsi, e molto. I miei libri, non solo i thriller, sono accomunati da certi segni distintivi. Difficilmente all’inizio è possibile prevedere dove condurranno. Sono sempre presenti colpi di scena, raramente nel finale, che fanno prendere alla trama un’altra direzione. Molta importanza è data ai personaggi, è indispensabile che il lettore si affezioni a loro. Se non dovesse accadere, se li considerasse odiosi, di colpo la magia scomparirebbe, e del loro destino non importerebbe nulla. L’empatia ha una grande importanza in un thriller, è proprio l’empatia a creare il vero terrore. Senza empatia un thriller diventerebbe una lettura noiosa”.
Roberto Re, che sta spopolando con il suo “Il Killer delle fiabe” (Gds edizioni), spiega: “A differenza di quello che è il pensiero di moltissimi lettori e altri autori, per me in un thriller non è importante scoprire il colpevole. L’ “indovina chi” è solamente la punta dell’iceberg, tutto quello che a me davvero interessa è ciò che rimane sotto, nascosto il più possibile. La psicologia del colpevole, le motivazioni che lo inducono a comportarsi in quel modo, il vissuto che lo ha spinto (o spesso, costretto) a diventare quello che è diventato. È lo sviluppo di tutti questi argomenti che mi affascina, nella stesura di un thriller. Il colpevole si può capire dalle prime pagine o essere tenuto nascosto fino alla fine del romanzo, ma questo non mi interessa più di tanto. È il suo percorso che trovo molto più intrigante, costruirgli le motivazioni. Poi ovviamente ci deve essere la tensione: mi piacciono quelle storie dove ogni capitolo crea un’immagine di inquietudine che poi si porta dietro nel capitolo successivo, tenendo il lettore il più possibile sul filo del rasoio, e dove i fatti più inquietanti accadono quando meno se lo aspetta. Un giusto mix tra parti tranquille e poi colpi sparati all’improvviso, in modo che chi legge non sa mai quando aspettarsi che accada qualcosa. Questi sono gli aspetti che mi affascinano quando leggo un thriller, e che di conseguenza riporto in quello che scrivo lasciando veleggiare un senso di ansia crescente mentre ci si avvicina al finale”.
Roberto Ricci che, fra le varie opere, abbiamo notato per essere l’autore de “Il Cappotto”, un cortometraggio recensito proprio da Oubliette Magazine qualche mese fa. Ricci, forse il più vicino al Dario Argento dei primi film, ci ha risposto così: “Come nasce un thriller? Domanda difficile, ma neppure troppo. Per quello che riguarda me, l’idea arriva all’improvviso. Generalmente di notte. Mi alzo e butto giù lo spunto iniziale. Dopodiché comincio a lavorarci, tenendo ben presenti le regole base per un buon thriller. Quali sono? Innanzitutto l’assassino deve essere un personaggio presente lungo l’arco della narrazione, per non imbrogliare il lettore e dargli così la possibilità di scoprirlo prima del finale. Poi, la logica nella trama. Un giallo, per quanto visionario…sanguinario…deve avere una coerenza nei fatti che accadono, altrimenti si fa un horror, dove c’è maggiore libertà espressiva. Mantenere alta la tensione che precede l’omicidio. L’atmosfera è importantissima. La vittima deve sentirsi braccata dall’assassino…e noi con lei. La porta che cigola…la finestra che sbatte…l’occhio nel buio…la mano “guantata” di nero, che stringe nel pugno l’arma bianca impaziente di usarla. Certo, cose già viste e lette decine di volte, ma spesso girate o scritte male. Il momento della morte, deve giungere per il lettore o spettatore, come una liberazione dopo una tensione quasi insostenibile. In ultimo il finale. Deve essere in crescendo, e possibilmente con un finto colpo di scena, che anticipi quello reale. Mai e poi mai, dovrà essere messo tanto per finire…in maniera sbrigativa. Un buon finale, può salvare una storia debole, mentre un finale debole, rovina inevitabilmente una buona storia! Spero di essere io per primo, ad avere seguito queste regole nel nuovo libro in uscita ai primi di Maggio. Sei racconti. Quattro gialli, un horror soprannaturale, e un grottesco noir. Saranno inseriti anche quelli della precedente raccolta, per dar modo di farli ulteriormente conoscere. Non avevo ancora anticipato il titolo, e lo faccio dal vostro magazine: “Buio Rosso”.
Simone Turri, conosciuto come autore che scrive in coppia, insieme alla sua compagna Daniela Mecca. Il loro ultimo romanzo è “Il fiore nero” (Montag, Collana “Altri mondi”). Simone e Daniela concordano nel dare questa risposta: “Gli ingredienti per scrivere un buon romanzo thriller sono pochi, semplici ma efficaci: innanzitutto ci deve essere una buona dose di “suspense”, la storia deve essere credibile e deve rendere anche il lettore protagonista in prima persona della vicenda, per coinvolgerlo in toto. Generalmente noi non seguiamo uno standard fisso nella stesura delle nostre opere e nemmeno le fonti d’ispirazione giungono sempre nello stesso modo. I personaggi che prediligiamo nei nostri racconti thriller non rientrano in alcuna categoria, l’importante è che si sposino perfettamente alla storia e che lascino il segno nella mente del lettore. Il traguardo più difficile che ogni volta dobbiamo porci è quello di spaventare il lettore a sufficienza, impressionandolo con scene e personaggi inquietanti e misteriosi, a volte descritti nei minimi particolari; ma spesse volte lasciamo che sia proprio il lettore a tracciarne i profili, in modo da stuzzicare la fantasia”.
Stefano Vignaroli, autore di “Delitti Esoterici”( Altromondo), “I segreti di villa Brandi”(Mjm Editore) e “Diario di uno psicopatico” (CreateSpace), afferma: “Beh, io inizio con un’idea in testa, ho una trama ela sviluppo. Diciamoche il mio lavoro in cui c’è più suspense e mistero è “Delitti Esoterici”. Ho utilizzato un po’ alcuni riferimenti alla magia, alla stregoneria e al paranormale per stimolare la fantasia del lettore. Certo, tutto sta, durante la narrazione, a essere abili a lasciare il lettore con alcuni dubbi, magari con la paura che il suo personaggio preferito stia rischiando la morte: stacco, parlo per alcune pagine di altre cose, e poi riprendo. Io uso molto la tecnica di alternare descrizioni forti a pagine descrittive, in cui apparentemente le acque si chetano, per poi ritornare a bomba sull’evento forte, assassinio o situazione di pericolo che sia”.
Ed infine ecco il contributo di Simone Falorni, che ci ha colpito per la sua raccolta di racconti “Mesi Oscuri” (La Riflessione editore). Falorni afferma: “Un’opera letteraria thriller deve regolarmente creare suspense, mettere ansia in chila legge. Nonè semplice giungere a ciò, ma può capitare che vi si arrivi anche senza un proposito iniziale ben preciso. Io ho iniziato a scrivere di discriminazioni, violenze, diritti mancati; ho preso a riferimento personaggi femminili, minorenni, gay, obesi, e chi più ne ha più ne metta. Soggetti che quotidianamente lottano contro una società troppo spesso inumana. E partendo da loro, da determinate storie che ci vengono presentate in continuazione dai mass-media, costruisco i miei racconti, i miei romanzi. Una violenza, una discriminazione, se ben descritte, emanano già un certo senso ansiogeno, ti portano quasi a maledire chi le commette, in difesa di chi le subisce. Parola dopo parola che leggi, provi voglia di abbracciare, di proteggere l’oggetto della cattiveria. A questo poi aggiungo l’atmosfera cupa degli ambienti, un contorno fatto anche di paranormale, giungendo a volte ad intaccare l’horror. Questo perché spesso realtà e follia s’intrecciano nella società odierna molto più di quanto si possa comunemente pensare. Saltiamo costantemente dalle storie rosa agli splatter più orribili. Pensiamo ad un omicidio, qualsiasi sia la causa discriminatoria scatenante (femminicidio, odio razziale, omofobia, ecc.). Crediamo davvero che nella mente di un omicida non si presentino voci astratte, diaboliche? Crediamo davvero che lì la realtà regni sovrana anche durante l’esecuzione di certi atti atroci? Crediamo davvero che la follia non prenda il sopravvento nelle teste di soggetti capaci di tanto orrore? Non vi è ansia, orribile e spaventosa, densa di suspense, più grande di quella che giornalmente ci circonda nei fatti di cronaca nera che sempre più frequenti accadono!“.
Ognuno a suo modo, ma tutti concordi nel volere creare la giusta tensione.
Ebbene dunque, la prossima volta che vi capiterà di leggere un romanzo thriller, laddove un maniaco omicida insegua la sua preda con un ritmo incalzante che vi farà sobbalzare dal divano, ricordate. È esattamente ciò che vuole l’artefice. Questo l’intento di colui che quei colpi di scena li ha creati.
Written by Cristina Biolcati