Lee Jeffries – Homeless Portrait
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(radioSempre – Trasmissione #1)
Voglio inaugurare la prima trasmissione di radioSempre parlando di dipendenze e assuefazioni. Droghe.
Sì. Sto parlando proprio a te, caro lettore/ascoltatore che fai finta di niente. È inutile negarlo. È inutile mentire. Tanto sai bene che anche tu ci sei dentro fino al collo. Sei fregato. Lo sai questo vero?
L’uso quotidiano che ne fai è un uso spropositato, massiccio, bulimico. Che tu sia produttore o semplice consumatore/fruitore non fa alcuna differenza, credimi.
E la verità è che non hai alcuna intenzione di smettere. Già. Non te ne frega proprio un cazzo. Nessuna riabilitazione. Nessuna disintossicazione. Stai bene così. Stiamo bene così. Tante grazie.
Non smetterai mai, vero?
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# Scoppiare
Fotografia, immagini, scatti e autoscatti stanno fagocitando le nostre esistenze. Immagazziniamo ogni giorno dosi letali di stimoli visivi che alla fine porteranno il nostro piccolo cervello a implodere, scoppiare, disintegrarsi.
Negli Anni Ottanta avevamo l’eroina. Oggi invece ci droghiamo in modo facile, pulito, economico. Ci facciamo di scatti e autoscatti, ci spariamo nelle vene dosi massicce di immagini al posto di misteriose polveri magiche. E tutto questo ci piace. Ci fa godere.
La sola verità che conosco è che continueremo a farlo. Non smetteremo mai. Siamo drogati allo stato terminale che non hanno alcuna intenzione di farla finita.
Così ti preannuncio che alla fine di questo articolo troverai una carrellata di fotografie in bianco e nero davvero imperdibili, immagini che hanno attraversato e raccontato la nostra storia, scatti di fronte ai quali proverai:
- Orrore
- Meraviglia
- Inquietudine
- Ispirazione
Prima però di spararti in vena l’ennesima dose di pixel e jpeg voglio farti alcune domande. Stai con me ancora per un po’, quindi. Non essere impaziente.
La tua droga arriverà.
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# Il Terzo Occhio
Sara Marie Ramsoe – Life of Jon
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Nel corso della mia attività lavorativa – diciamo soprattutto negli anni dal 2005 al 2011 – ho avuto modo di approfondire con sempre maggior frequenza e interesse la potenza delle immagini, entrando in contatto (per mia fortuna) con alcuni dei maestri indiscussi della fotografia italiana, artisti ormai conosciuti e stimati in tutto il mondo, da Gabriele Basilico a Pino Musi passando per Aurelio Amendola, tanto per fare alcuni nomi.
Questo viaggio nel Terzo Occhio ha sviluppato in me una sensibilità e un’attenzione via via crescente verso quello che comunemente noi chiamiamo l’occhio fotografico, ossia – semplificando il concetto – cosa guarda un fotografo prima di scattare, cosa vuole farci vedere.
Ebbene sì. Osservando questi grandi maestri all’opera sono entrato in contatto con il loro terzo occhio. E da allora il mio approccio al mondo attraverso la fotografia non è stato più lo stesso.
Senza di loro probabilmente il magazine Fotografia[Z] non sarebbe mai nato. Che poi abbia raccolto 1.718 lettori in appena un anno dalla sua nascita è la dimostrazione – se mai ce ne fosse stato bisogno – che di drogati in giro come me ce ne sono più di quanti io stesso potessi immaginare.
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La copertina di questo mese di Fotografia[Z]
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# Indossare domande
In sostanza, entrando in contatto con la “vera fotografia”, è come se avessi indossato dei nuovi occhiali. Ma non solo quelli. Ho indossato anche nuove domande.
Lo so, non è usuale indossare domande. Ma io l’ho fatto. Ho indossato domande che hanno finito col rinchiudermi dentro un vestito che col tempo si è ristretto sempre di più, fino quasi a soffocarmi.
Domande tipo:
- Quante immagini di me e della mia vita ho già intrappolato dentro un hard-disk di qualche terabyte?
- E quante altre ancora ne ho condivise sui social network?
- E quante sono le immagini che ogni giorno mi passano sotto gli occhi – dal PC al cellulare ai cartelloni pubblicitari alla tele – senza che io faccia nulla per intrappolarle, vestirle, indossarle? Mille? Diecimila? Centomila?
La stessa cosa vale anche per te, caro il mio ascoltatore felicemente drogato. E se stai provando a rispondere alle domande di cui sopra, beh… non sprecare il tuo tempo. La risposta c’è già.
Sono troppe. Troppe per essere assimilate, trattenute, metabolizzate, intrappolate e consumate.
Non hai scampo. Anzi: non abbiamo, scampo.
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# Sarai ancora in grado di cancellare i tuoi ricordi?
Scars – Progetto Fotografico di India Lawton
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Da qualche anno a questa parte – proprio grazie alla fotografia – è cambiato anche il mio approccio al processo creativo. Direi infatti che gran parte della produzione letteraria degli ultimi 7/8 anni abbia avuto come punto di partenza proprio un’immagine o un video.
È stato così per i racconti che entreranno a far parte della mia prima raccolta, è stato così per il romanzo che se tutto va bene vedrà la luce entro il 2015, è stato così per trilogia distopica che scriverò nei prossimi 5 anni.
Anche per Figurine si può dire lo stesso. E forse il titolo dice già tutto.
Quando ho iniziato a scrivere il racconto non avevo la più pallida idea di dove la storia mi avrebbe condotto. Sapevo solo una cosa: i due protagonisti non avrebbero mai smesso di accumulare le loro figurine. Quella sarebbe diventata la loro unica ragione di vita.
Mi rendo conto che la storia dei due amanti – così come l’ho immaginata scrivendola - possa avere molte chiavi di lettura, e certamente il bisogno primario legato all’accumulo compulsivo è solo una di queste.
Alcuni lettori/lettrici del racconto mi hanno fatto notare come in realtà, secondo loro, l’ossessione per il corpo (e tutto ciò che ne consegue) rappresenti la tematica principale del racconto.
Altri invece si sono soffermati su concetti come la necessità di controllare ogni aspetto della nostra esistenza e – al tempo stesso – di trovare una forma di (auto)completamento che ci faccia finalmente sentire appagati, liberi, soddisfatti.
Tutto vero. La raccolta di racconti che sto scrivendo ruoterà proprio intorno a questi temi – il corpo, la necessità di trasformarsi, la ricerca ossessiva di un completamento – ma il quesito finale che si pone la protagonista di Figurine è la stessa domanda che mi frulla in testa da un po’ di tempo. E cioè:
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Per quanto altro tempo ancora continuerò ad accumulare i miei ricordi digitali?
E cose ne farò di tutte queste immagini quando il tempo che mi resterà da vivere sarà molto più breve del tempo trascorso?
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In fondo pensaci. I nostri genitori si sono portati dietro dal loro passato solo una manciata di fotografie – quelle del matrimonio, di qualche vacanza in bianco e nero, del tuo battesimo o comunione o compleanno che sia, quando eri ancora un giovane stronzetto convinto di poter cambiare il mondo prima che il mondo se la desse a gambe, scatti così. Ritagli improvvisati di vite tagliate male e fotografate peggio.
Ma noi no. Noi stiamo facendo molto di più. Ci stiamo legando indissolubilmente al nostro passato attraverso gli scatti con cui ogni giorno riempiamo le nostre pagine Facebook, i nostri profili su Twitter o Instagram, i nostri blog.
Arriveremo a un certo punto in cui non saremo più in grado di ricordare (e cancellare) nulla perchè le immagini accumulate in tanti anni di “condivisioni e commenti” continueranno a sbatterci sotto il naso l’evidenza di quello che siamo stati e che non saremo più.
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# Ricordare sempre. Ricordare (per) sempre.
Il titolo di questa sezione è volutamente provocatorio.
Ci pensavo giusto ieri. Siamo dei condannati a morte ma ancora non ce ne rendiamo conto.
Sto parlando di una morte jpeg, uno strano tipo di decesso che non intaccherà più le nostre funzioni vitali ma la nostra capacità di essere liberi dalla schiavitù delle immagini e della fotografia.
Direi che siamo ancora nell’Era Zero dell’Accumulo Visivo. Per capire infatti la vera portata di questa rivoluzione senza precedenti (per capire soprattutto che tipo di effetto avrà sulle nostre vite tutto questo “accumulo compulsivo di massa”), bisognerà aspettare ancora qualche decennio, quando noi – i primi figli della rivoluzione digitale e di questo nuovo “web delle immagini” – saremo ormai vecchi e decrepiti, quando non ci resterà altro da fare che sfogliare online la mappa jpeg dei nostri bei ricordi andati.
Volenti o nolenti, saremo costretti a ricordare tutto. Per sempre.
Saremo la prima generazione che si troverà a fare i conti con l’evidenza di un passato che invece di essere ricordato verrà – semplicemente – sfogliato.
Perchè quando a ricordare è la nostra mente possiamo sempre smussare gli angoli, modificare i dettagli sfocati, rimuovere gli eventi più dolorosi. Ma quando a farlo per noi sono i ricordi jpeg accumulati in tanti anni di condivisioni compulsive, beh… tutto questo non vale più.
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# E se costruissimo un atlante dei nostri ricordi jpeg?
La butto lì. Magari qualche scienziato mi sta leggendo e raccoglierà questa idea bizzarra.
Sarebbe interessante se potessimo percorrere a ritroso il nostro passato attraverso una mappa emotiva dei nostri ricordi jpeg. Una sorta di DNA Visivo associato a ogni essere umano. Un vero e proprio atlante dei nostri ricordi digitali.
Sarebbe affascinante.
Sarebbe inquietante.
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# Devi uscire fuori dal mondo per osservarlo come si deve
Sono sempre stato convinto della superiorità del [bianco e nero] sul colore.
Così come le immagini di uno schermo al led sono innegabilmente superiori a quelle trasmesse da un vecchio televisore col tubo catodico, così una fotografia in bianco e nero (secondo me) è superiore ad una a colori.
Mi spiego meglio.
Viviamo in un mondo a colori. Su questo siamo tutti d’accordo, giusto? Il nostro occhio è abituato a vedere – e vivisezionare – immagini a colori. Ciò che invece non è abituato a fare è osservare immagini in bianco e nero, e ogni volta che questo accade l’occhio è naturalmente più attento, indagatore, scrupoloso.
Te lo spiego con un altro esempio.
Ora stai leggendo quest’articolo sul PC o Tablet. Quello che i tuoi occhi vedono sono una serie di:
- Caratteri
- Immagini
- Banner
- Icone
- Loghi e molto altro ancora
Eppure, riducendo tutto all’osso, ogni singolo pixel non è altro che una semplice sequenza di [zero] e di [uno]. Tutto il web, in fondo, è solo un’indistinguibile ammasso di zero e di uno ripetuti all’infinito dentro un miliardo di combinazioni diverse.
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Ecco. Immagina ora di “vedere” questo stesso articolo al microscopio. Cosa accadrebbe? Semplice: ti ritroveresti proiettato in un mondo binario, saresti costretto ad adottare una visione a livello atomico, a livello degli elettroni.
Di conseguenza, il tuo occhio sarebbe “naturalmente” più attento nell’osservare questa nuova realtà fatta di zero e di uno, e sai perchè? Perchè non è abituato ad interpretare sequenze binarie ma solo immagini già “composte”, “finite”, pronte per essere consumate.
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# L’uomo che per primo ha pesato l’anima
Si chiamava Angelo Mosso. Come medico e fisiologo ha vissuto nella seconda metà dell’Ottocento ed è passato alla storia grazie ai suoi importanti studi sulla paura, la fatica muscolare e l’altitudine.
Soprattutto, Angelo Mosso è stato un grande sperimentatore nel campo medico e scientifico. Fra i molti esperimenti bizzarri condotti in tanti anni di ricerche, di lui si ricorda soprattutto il tentativo di pesare l’anima.
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Che ci sia riuscito o meno poco importa. La cosa che importa è che noi invece lo facciamo già.
Esatto. Ogni volta che guardiamo una fotografia in bianco e nero noi stiamo osservando l’essenza del soggetto/oggetto immortalato nello scatto. La sua anima, il suo cuore.
L’elettrone. La particella elementare.
Ecco perchè una fotografia in bianco e nero è superiore ad una a colori. La tua mente sarà sempre concentrata a pesare l’anima, non il suo involucro.
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# Le incredibili immagini di un passato in bianco e nero
Ci siamo, finalmente.
Come ti accennavo all’inizio dell’articolo, ecco la tua dose jpeg pronta per l’uso.
Le immagini che seguono provengono da una meravigliosa selezione apparsa sul portale web Epi Paideia. In particolare, l’articolo a cui faccio riferimento è stato scritto da Marco Crupi, il cui blog dedicato alla fotografia è uno dei più attivi e conosciuti in rete.
Ti confesso che ho faticato molto a selezionare gli scatti migliori. Sono tutte immagini in bianco e nero di una potenza devastante, fotografie che emozionano e ti strappano via l’anima. Ma per osservarle bene devi concentrarti.
Smetti quindi di fare trecento cose insieme e dedicati a pesare l’anima di ogni singolo scatto.
Buon viaggio. Anzi, buona visione.
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Donna con la carrozzina antigas, Inghilterra, 1938
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Il volto “spacchettato” della Statua della Libertà, 1885
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Bambino Austriaco riceve delle scarpe nuove durante la seconda guerra mondiale
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L’originale Ronald McDonald, 1963
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Una madre nasconde il proprio volto per la vergogna dopo aver messo in vendita i suoi figli, Chicago, 1948
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Animali utilizzati come componente della terapia medica, 1956
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Il padrone dell’hotel getta dell’acido in piscina mentre della gente di colore ci nuota dentro, ca. 1964
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Gambe artificiali, UK, ca. 1890
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Walter Yeo, uno dei primi a sottoporsi chirurgia plastica ed a trapianto di pelle, 1917
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Misurazione dei costumi da bagno – se troppo corti le donne sarebbero state multate, anni 20
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Studenti di Princeton dopo uno scontro a palle di neve tra matricole e studenti del secondo anno, 1893
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Vecchietta armena di 106 anni che fa la guardia alla casa, 1990
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# Il Teatro degli Orrori
Spero che questo viaggio nella fotografia e nel potere delle immagini ti sia davvero piaciuto.
Per finire, come tutte le radio, ti lascio con un video e una canzone capolavoro da cui ho preso ispirazione per il titolo di quest’articolo.
Nel ritornello il cantante ripete in modo ipnotico Ti prego ascoltami, ascoltami bene. Lui è Pierpaolo Capovilla, la canzone s’intitola “Direzione diverse”, e loro sono uno dei più grandi gruppi della scena rock alternativa italiana. Il Teatro degli Orrori.
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Ci vediamo presto su queste frequenze, amigos.
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# Risorse utili
- Fotografia[Z] – Il magazine su Flipboard
- Figurine - Il racconto in download gratuito
- Epì Paidèia – Il giornale online di arte e cultura
- Marco Crupi - Il suo blog fotografico
- Il Teatro Degli Orrori – Il sito della rock band italiana
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