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Ti prendo e ti porto via: piccoli orrori quotidiani

Creato il 18 luglio 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Ti Prendo e ti Porto Via: Piccoli Orrori QuotidianiNiccolò Ammaniti è ormai uno degli scrittori giovani più affermati ed amati dal pubblico, “Ti prendo e ti porto via”, che vide la luce nel 1999, è uno dei suoi primi successi editoriali. Un libro forte, come ci ha abituato l’autore (tra gli altri suoi lavori ricordiamo Fango, Io non ho paura, Come Dio comanda), costruito in modo simmetricamente seducente, con una scorrevolezza stilistica impeccabile, pienamente sospeso tra verismo e realismo. La vicenda raccontata, non eroica, non positiva, è assolutamente credibile, descrivendo un mondo reale, fors’anche squallido e poco appetibile, ma sicuramente verace. La si può, senza tema d’essere smentiti, definire letteratura popolare, richiamandosi in questo al genere “pulp” che tanto furore fece agli albori del secolo scorso, quando negli States si pubblicavano riviste, su carta riciclata, che davano spazio ad un tipo di narrativa, scontata e popolare forse, ma di grande successo, in cui si cimentarono i grandi autori dell’epoca. Per tematiche e stile non si può non sottolineare come Ammaniti si ispiri a Stephen King nell’elaborare le sue storie, ad esempio, scegliendo la tecnica delle trame parallele, apparentemente staccate o lontane dal tema principale, che lentamente ed attraverso strani, imprevedibili, giri, finiscono poi per convergere inesorabilmente nel cuore del racconto. “Ti prendo e ti porto via” è dunque una storia con due protagonisti principali: Pietro Moroni, figlio un po’ caratteriale di genitori squallidi e disadattati, ragazzino introverso e debole, oggetto preferito delle angherie di un gruppo di coetanei teppisti, e Graziano Biglia, un playboy un po’ démodé, fricchettone, un fallito, perennemente in bilico tra sogno e realtà.

Ti Prendo e ti Porto Via: Piccoli Orrori Quotidiani

L’abilità dell’autore è quella di costruire due storie indipendenti, due storie di amicizia e amore, per Pietro con la bellissima e viziata Gloria, che stravede per lui e che lo condurrà alla dannazione, e per Graziano con la stàrlet senza cervello Erica Trettel prima e con la povera professoressa Flora Palmieri poi, che finiscono infine per fondersi in un tragico ed imprevedibile epilogo. Sullo sfondo di periferie disagiate e maleodoranti, sconosciute e squallide, si intreccia un narrato credibile ed appassionante in cui l’amore è spoetizzato, quasi asfittico, ma vero, duro e crudo, un narrato che conquista il lettore trascinandolo lungo una china ben congegnata ed avvincente, che alla fine colpisce allo stomaco senza pietà, violentemente. Non è vicenda a lieto fine, non c’è alcun messaggio buonista o d’altro tipo, è mera dissezione di sentimenti e stati d’animo che si esplicano poi in azioni, apparentemente assurde nel loro minimalismo, che dipingono un finale degno di una tragedia greca, in cui manca però la catarsi. Il risultato è una storia connotata da una perfetta struttura stilistica, in cui il linguaggio, povero e scontato, talvolta anche scurrile, è veicolo per entrare nel vissuto di tutti i giorni di una certa società, che esiste oltre i lustrini della pubblicità, in cui i personaggi si muovono con ritmi e modalità quasi televisive, arrivando a quella banalizzazione dell’orrore quotidiano cui i tanti recenti casi di cronaca nera ci hanno abituato.


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