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I Tiamat fanno parte della folta schiera di band metal nate e cresciute a cavallo tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90, quando anche gli ultimi confini tra generi, sotto-generi e generi sotto sopra, sparirono definitivamente come la nebbia sotto i raggi del sole. Sono numerose le band nate in quel periodo che suonavano o suonano metallo mutante, e che si sono evolute in modo imprevedibile, raccogliendo nel loro cammino le influenze più disparate, in dosi variabili: elettronica, rock psichedelico, indie, pop, rock, dark, gothic, folk, jazz, world music e chi più ne ha più ne metta.
I Tiamat si sono formati nel 1989 (casualmente anche l’anno della caduta del muro di Berlino) in Svezia intorno alla figura del cantante e chitarrista Johan Edlund. A quei tempi suonavano un feroce death-doom-black metal senza compromessi. Poi qualcosa scattò dentro la bella capoccia pelata di Edlund e con il quarto disco, il mitico Wildhoney del 1994, cambiarono molte cose, secondo alcuni fans della prima ora anche troppe, secondo altri, invece, con il cambiamento di rotta la band si guadagnò un posto nell’Olimpo. I Tiamat ampliarono il loro raggio d’azione ed esplorarono nuovi territori, inserendo nel loro arsenale alcune armi non convenzionali, non previste dal loro equipaggiamento iniziale, come la darkwave, il gothic metal e il rock psichedelico originario del pianeta Pink Floyd.Con i due dischi successivi (due capolavori assoluti per quanto mi riguarda) A Deeper Kind of Slumber e Skeleton Skeletron, il gothic rock, le atmosfere dark, l’elettronica e le melodie guadagnarono ulteriori spazi sino a dilagare come un fiume in piena. Poi qualcosa s’inceppò e i due album pubblicati nei primi anni 2000, Judas Christ e Prey, si persero nell’anonimato di miriadi di dischi buoni solo per essere scaricati e messi in castigo dentro un grigio hard disk. Non sono affatto da buttare, anzi si lasciano ascoltare senza problemi né effetti collaterali, ma negli spartiti di Edlund era accaduto qualcosa, o meglio, era venuta a mancare qualcosa. Probabilmente mancava in quei solchi il lampo capace di schiarire le tenebre, l’intuizione geniale capace di far diventare una buona canzone una grande canzone.Fortunatamente con il bellissimo Amanethes del 2008 le cose ritornarono al loro posto. Quel disco ancora adesso va e viene nel mio lettore cd come se fosse a casa sua, con “viva e vibrante soddisfazione” dei vicini.Dopo quattro anni i Tiamat ci riprovano e anche se, forse, il nuovo disco non è bello quanto il suo predecessore, ci va molto vicino.The Scarred People parte alla grande con i primi tre brani: la titletrack è una classica (e riuscitissima) canzone gothic rock in tipico Tiamat style; Winter Dawn presenta variazioni sul tema, con una struttura gothic rock squarciata da schitarrate metal alternate a passaggi più quieti e malinconici e una melodia autunnale (o forse invernale, a giudicare dal titolo) che rapisce; 384 è oscura e ammaliante con le sue inflessioni dark wave e i rumori elettronici che l’attraversano.Non mancano i brani inusuali e gli azzardi sonori come nel caso dei due strumentali presenti nel disco: Before Another Wilbury Dies con una voce in sottofondo che non si fa in tempo a capire dove vuole andare a parare che è già finita, e Tiznit, acustica e bucolica.Messinian Letter è invece una ballata rock classica, piacevole e melodica ma abbastanza atipica per i Tiamat (tradotto: buona canzone ma non c’entra un caz...). Sono decisamente più interessanti gli archi campionati della bellissima, oscura e lenta, Radiant Star, il mandolino che arricchisce The Sun Also Rises, l’ottima Love Terrorist che parte lenta e malinconica e poi s’incattivisce ma non troppo.Thunder & Lightning riporta sui lidi del metal-gothic rock delle tracce iniziali, è potente e grintosa e fa venire in mente i Sisters of Mercy di Floodland.Per concludere c’è da segnalare la presenza di quattro brani in più nella versione deluxe del disco: due tracce live e due cover, e anche in questo caso il coraggio non manca perché le cover in questione sono Paradise di Bruce Springsteen, una ballata malinconica, cantata dal bassista Andres Iwers, e Born To Die di Lana Del Rey, bella come l’originale, ma non troppo diversa, solo lievemente più oscura e rockeggiante. Le due gemme che chiudono l’album sono Divided e Cain in versione live.
Tracklist:
01.The Scarred People02.Winter Dawn03.38404.Radiant Star05.The Sun Also Rises06.Before Another Wilbury Dies07.Love Terrorists08.Messinian Letter09.Thunder & Lightning10.Tiznit11.Born To Die (bonus track)12.The Red of the Morning Sun13.Paradise (bonus track)14.Divided (live)15.Cain (live)
Napalm - 2012
voto: 8
Formazione:
Johan Edlund - voce, chitarre, tastiereRoger Ojersson - chitarra solista, tastiere, mandolino, voceAnders Iwers - basso, voceLars Skold - batteria
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