Tim Burton, 2010 (USA), 108'
uscita italiana: 3 marzo 2010
voto su C.C.
Tim Burton è tornato, o forse no. Già nelle sale ormai da un po’ di tempo, Alice in Wonderland si aggiunge purtroppo alla schiera di quei film che, accompagnati da grandi promesse e attese, non sono riusciti poi a mantenerle, puniti da un deludente successo al botteghino e dagli scarsi favori della critica. Purtroppo, perché chi come me si aspettava un ritorno in grande stile alla fiaba e alle atmosfere di un Lewis Carroll mai superato nella letteratura allegorica inglese, si è ritrovato per le mani invece un semi-prodotto Disneyano che ha assai poco di meraviglioso e molto di
e-commercial e cliché. Premettendo che chi scrive è un amante del genere e dei lavori del visionario regista di Burbank, e che il film ha ovviamente il suo fascino, devo però associarmi ai detrattori perché sostanzialmente Alice non è Alice e, nonostante lo sforzo, il prezzo del biglietto non riesce proprio ad essere ripagato. Carroll aveva creato una favola priva di linee temporali e di una suddivisione cronologica degli eventi: la storia infatti racconta di una bambina che in un sogno (?) attraversa questo meraviglioso mondo immaginario e naif finendo quasi col “perderci” letteralmente la testa, tra conigli in ritardo, gatti parlanti e carte animate. Burton ne estrapola sì i contenuti, ma quasi crea uno stereotipo di quella bambina, con una bionda (Mia Wasikowska) spaesata e che non appare troppo nella parte. Alice è cresciuta e non ricorda niente della sua precedente visita, mentre tra flashback forzati e peripezie varie dovrà riportare la pace nel Paese delle Meraviglie, affrontando animali dai nomi a dir poco impronunciabili e personaggi bizzarri, accompagnata come sempre dal fedele Cappellaio Matto (Johnny Depp) e dalla Regina Bianca (un’evanescente Anne Hathaway). Proprio Johnny Depp, forse per la prima volta dopo anni ai massimi livelli di espressione, sembra un po’ “annacquato” e tenta di trarsi d'impiccio solo grazie alla sua verve da fuoriclasse, ma cade molto spesso nel trash più colossale. Ne è un esempio il “delirio” finale: una sorta di danza inguardabile che ricorda a momenti il miglior Pierino di Alvaro Vitali.
La storia di Burton non riesce mai a restituire l’atmosfera da immaginifico incubo dell'autore inglese, perdendo di magia e di interesse con personaggi che a stento si riconoscono in un mondo che a qualcuno ricorderà l'omonimo cartone animato degli anni Cinquanta.
Degna di merito come sempre la gentil consorte di Burton, Helena Bonham Carter, che dopo la svestita e scostumata locandiera di Sweeney Todd dà volto e voce a un’efficace Regina di Cuori.
Insomma, grazie alla sapiente regia e alle animazioni come sempre di grande effetto (ma per le quali sinceramente il 3D ci sembra superfluo) assistiamo comunque ad un buon lavoro, vedibile e concreto. Ma ci permettiamo di opinare che da Burton e Co. ci si aspetta sempre il capolavoro, che stavolta sicuramente non è arrivato.