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Timido o Malpelo?

Da Paterpuer @paterpuer
"Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo", ovvero del pericolo della profezia che si autoavvera...
"Quando incontra i bambini è troppo timido, ha bisogno di stare di più con i bambini" - "Non è troppo timido, è ok così, sta coi bambini tutti i giorni al nido ed è inserito alla perfezione nel gruppo" - "Non riesce a inserirsi abbastanza bene tra i bimbi" - "Ha semplicemente bisogno di conoscere un po' le persone per aprirsi" - "Sta troppo con gli adulti" - "Ma se quando non ti caga per stare con qualche bambino non fai altro che lamentarti!" - "Sì ma non lega abbastanza" - "Non è vero, ha semplicemente i suoi tempi, è segno che ha personalità".
Potrei continuare per ore e schermate di blog. Si tratta della drammatizzazione di una discussione-tipo fra me e Paola. Io sono un timido, uno che per scavalcare la timidezza nei rapporti si è messo a lavorare in tv, in radio e sui palchi degli spettacoli. Lei è una che fronteggia la (naturale) timidezza con la forza e la competenza, oltre che - accidenti a chi può - con il sorriso della sua belleza. L'altro, il piccino, è Samuele.
Timido? Non timido? Mai come nella valutazione dei bambini gli adulti-genitori proiettano il proprio vissuto, si tratta di una proiezione spesso involontaria contaminata non di rado dall'agonismo delle discussioni, con la sua connaturata necessità di prevalere sull'avversario della disputa (verbale ma anche più ampia perché può riguardare il possesso del timone nell'educazione dei figli). Si incrociano meccanismi di difesa, in-group e out-group anche nel valutare il modo in cui altri adulti educano i bambini; inoltre è frequente l'attribuzione di caratteristiche negative sugli adulti, a partire dal fatto che i relativi figli non si comportano nel modo in cui il giudicante ritiene che si debbano comportare.
Frequente anche la rabbiosa considerazione - quasi un'imprecazione sorda - che per "raddrizzare" certi manigoldi, sarebbe stato necessario picchiarli da piccoli e perché no, riempire di botte anche i loro genitori.
Insomma, l'educazione è centrale nella vita perché anche se non tutti lo ammettiamo, è una delle variabili attraverso cui ci formiamo idee e opinioni sul mondo. Detto in soldoni: è un casino superincasinato di casini.
Alcuni manualetti di pedagogia avvertono che uno degli errori che risultano più frequenti in educazione è il pensare che "Se tutti avessero ricevuto l'educazione che ho ricevuto io allora sì che sarebbero persone equilibrate". Questo è già un giudizio sugli altri! Ed è proprio il solito concetto, la nozione dell'alterità, che può risultare utile per ripulire un po' lo sguardo, a partire dal modo in cui guardiamo i nostri figli.
Uno dei meccanismi centrali in questo ravanare di casini è proprio la proiezione. La proiezione è un meccanismo di difesa in cui si investe l'altro (persona, animale, oggetto) con proprie ansie o conflitti. Ecco un classico esempio da letteratura: “Un tale che aveva mal di denti incontrò un altro che stava urlando a squarciagola e gli chiese che cosa avesse; e quando il poveretto gli rispose che una vipera l’aveva morso, osservò: credevo che ti facesse male un dente!”.
L'equilibrio fra timidezza e socializzazione è sempre in bilico anche fra gli adulti. Si pensi a quando si viene invitati in un gruppo di persone che si conoscono bene fra di loro mentre noi non conosciamo nessuno. Anche se si ostenta tranquillità e "ridancianeria", si è sempre un po' più tesi del normale. Assieme ai nostri amici siamo in grado di attraversare una stanza senza preoccuparci di dove mettiamo i piedi. Con un gruppo di sconosciuti stiamo attenti al pericolo di inciampare di fronte a tutti. I rapporti sociali sono il terreno fertile per proiettare le proprie ansie. Ecco allora che un genitore che non viva bene la propria timidezza potrà essere portato a sottolineare come difetto un normale imbarazzo del proprio figlio o a indulgere in maniera eccessiva di fronte a comportamenti al limite del patologico.
La timidezza è quasi sempre legata alla paura del giudizio altrui. È preoccupante quando impedisce il contatto con gli altri o la normale vita di relazione. Timidezza è spesso sinonimo di forte sensibilità che si traduce nel bambino in un senso di vulnerabilità. La timidezza è un modo per difendersi a cui si reagisce con l'impaccio o con aggressività e opposizione (anche i cosiddetti bambini oppositivi possono avere il proprio mopndo interiore da difendere dagli altri, e lo fanno spostando l'attenzione su un territorio in cui si sentono meno minacciati: meglio una punizione che aprire la propria anima).
Se un genitore non comprende che la timidezza è qualcosa di universale i cui fondamenti sono paure condivise da tutte le persone, non potrà mai scendere sul terreno emotivo del proprio figlio. È necessario ri-conoscere le proprie paure, comprendere (prendere con sé) le paure dei bimbi e rassicurarli.
Una delle cose peggiori che si possono fare è raccontare ad altri (in presenza del bambino) i propri dubbi sull'eccessiva timidezza del proprio figlio: si sentirà giudicato e problematico. Attenzione, è davvero deleterio, i bambini vengono incasellati col rischio della deriva-Malpelo.
È difficile ma per fare tutto questo bisogna limitare sé stessi e guardarsi con occhio critico.
Ieri sera Samuele ha giocato con alcuni bambini mai visti prima. Non solo ci ha giocato ma ha inventato uno stratagemma per sbloccare la situazione (si guardavano tutti mangiando un gelato e non c'era nessuno che avviava l'interazione): ha tirato fuori dalla borsa - dal cilindro mi verrebbe da dire - i suoi trenini Thomas e come per magia tutti si sono messi a giocare come fossero vecchi amici. Anche gli altri avevano una borsa coi giochi e dopo pochi minuti c'era il "comunismo dei giocattoli" e dei sorrisi.
Tornando a casa io e Paola ci siamo isolati, ognuno ripensando alla percezione che ha della presunta timidezza di Samu, realizzando - credo - che non è nemmeno timido, è semplicemente un bambino riflessivo.

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