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«Un tintinnio di sciabole ingiustificato, destabilizzante e pericoloso». Così il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha definito le dichiarazioni che il presidente russo Vladimir Putin ha usato come didascalia alla decisione di rafforzare la propria capacità militare con 40 nuovi missili balistici nucleari, «in grado di sfuggire anche ai più sofisticati sistemi di difesa antimissilistica» (parole di Putin).
«Se qualcuno mette in pericolo il territorio della Russia ─ ha detto il presidente russo durante un incontro con l’omologo finlandese Sauli Niinisto ─ essa deve puntare i propri armamenti verso i Paesi da dove proviene questa minaccia». Per Putin la colpa di questa escalation militare è della Nato, «che si sta avvicinando alle nostre frontiere», e il riferimento è alla decisione statunitense di aumentare la presenza militare dell’Alleanza Atlantica nel Baltico. Notare che dalla Nato dicono che l’invio dei propri mezzi pesanti e bombardieri è invece una diretta conseguenza della politica aggressiva di Mosca e delle notizie di nuovi spostamenti di armamenti verso il confine ucraino. Siamo come durante la Guerra Fredda: ci si incolpa a vicenda, un po’ per propaganda un po’ per convincimento.
La decisione del Pentagono è unica, nel senso che è la prima volta che l’America invierà armi all’interno di Paesi ex-sovietici ora membri della Nato. I carri armati e le batterie di artiglieria arriveranno nelle tre repubbliche baltiche (Lituania, Estonia e Lettonia), che hanno mostrato il proprio nervosismo tra i circoli diplomatici dell’Alleanza perché temono che possano diventare loro la “prossima-Ucraina” ─ ci sono appese questioni di influenza, etniche e storiche.
Le armi pesanti serviranno a bloccare il bullismo russo: alla fine di questa frase servirebbe un punto interrogativo, perché questa è la prospettiva dell’Amministrazione Obama, ma non è detto che poi si arrivi al risultato ─ visto per altro i precedenti di questi ultimi mesi. E così, dopo aver bloccato la costruzione dello scudo missilistico in Europa dell’Est ─ basi di intercettazione per mettere l’Europa al sicuro da eventuali “strane pretese russe” ─ in nome di “mani tese” e unipolarismo, adesso, dopo che la mediazione con Mosca si è chiusa con il fallimento della crisi ucraina, il presidente americano Barack Obama, l’uomo che dovrebbe dettare le sorti della politica internazionale occidentale, si ritrova in questa buffa piroetta. Prima chideva dialogo, ora ha un piano per rafforzare la presenza militare come deterrente per Mosca ─ una cosa analoga a quella fatta in Iraq: prima ha ritirato le truppe, poi ha cercato di ignorare il problema locale (che va sotto la voce “Califfato“), poi ha creato un gruppo di volonterosi internazionali per combattere l’IS per non essere troppo invischiato direttamente, ora si ritrova ad accrescere di continuo il numero di soldati sul suolo iracheno visto i risultati mosci della Coalizione.
Queste escalation non sono pianificate e per questo alla fine si limitano ─ fortunatamente, ci mancherebbe altro ─ a sparate pseudo-propagandistiche e nulla di più: per capirci, i tank arriveranno senza soldati a guidarli. Certe scelte, però rappresentato la devastante deriva dell’assenza di una strategia nell’affrontare i vari dossier con un’ottica non semplicemente legata al “qui&ora”.
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