Tinto di rosa

Creato il 30 novembre 2012 da Bagaidecomm @BagaideComm
Gli episodi di omofobia, come quelli della violenza di genere, sono in progressivo aumento nel nostro Paese come nel resto del mondo. Episodi con un'origine comune: il patriarcato, generatore di violenza nel momento in cui vede messi in discussione i modelli maschili basati su aspettative stereotipate. In Italia il contesto omofobo è ancora più pungente: addirittura la classe politica mostra sentimenti anti-omosessuali, negando perfino la tutela degli omosessuali da episodi di omofobia. Da qui sorgono due impressioni: la prima è la sensazione di impunità degli autori di omofobia, forti della legittimazione che le istituzioni gli concedono circa l’odio di persone omosessuali, attraverso la mancanza di tutela di questi ultimi dalla violenza e dall’atteggiamento omofobo del sistema politico e di tutte le aziende di socializzazione, quali la scuola e la famiglia. Il secondo è l’incapacità di riconoscere questi atteggiamenti come reati. Inoltre i politici utilizzano spesso un linguaggio sessista e omofobo, il quale non fa altro che legittimare il fenomeno. Non esiste giorno in cui le nostre cronache non riportano storie di ragazzi omosessuali picchiati, offesi, ridicolizzati, umiliati e discriminati. È toccato ad un ragazzino di soli 15 anni, Andrea, la cui “colpa” stava nel solo fatto di indossare abiti rosa, colore da sempre obbligatorio al genere femminile. La morte di Andrea è conseguenza di un’organizzazione scolastica che differenzia maschi e femmine secondo indeformabili ruoli. Dalle indagini emerge che la professoressa aveva ripreso la vittima perché “si era vestito di rosa e si era smaltato le unghie”, contribuendo a dare manforte ai bulli. Su Facebook è stato creato un gruppo per deridere quel ragazzo che “portava i pantaloni rosa” e pare che il ragazzo subiva anche stalking, additato come gay. Non è soltanto una storia di omofobia: qui c’è un ragazzo portato al suicidio perché amava vestirsi di rosa. C’è un ragazzo la quale omosessualità è stata attribuita in base al proprio abbigliamento, perché non si sa se fosse veramente gay. E se lo fosse stato?? NON CI SAREBBE STATO NESSUN PROBLEMA! Questo episodio non solo è segno di grave omofobia ma anche di maschilismo ed è gravissimo perché rivela un maschilismo fortemente presente nelle giovani generazioni, generazioni che in futuro saranno i nostri datori di lavoro, i nostri insegnanti, i nostri vicini di casa, i nostri padri, i nostri mariti e i nostri fratelli. “Forse perché così mi pare ancora di parlarti, forse per questo entro ed esco dal tuo profilo, indosso il tuo pigiama,cerco tra i tuoi appunti, i tuoi disegni, le tue cose” Queste sono le, a dir poco, commoventi parole della mamma a cui  hanno tolto per sempre il suo unico figlio. La vicenda si svolge al liceo Cavour di Roma. Andrea si impicca al ritorno da scuola. La procura di Roma apre un’inchiesta per istigazione al suicidio. Su Facebook si accendono le polemiche e cominciano ad essere diffusi tantissimi messaggi di solidarietà verso Andrea. La pagina "Io porto i pantaloni rosa" è stata chiusa, mentre su Twitter è stato lanciato l’hashtag #ioportoipantalonirosa in segno di protesta. Serve al più presto una legge contro l’omofobia e una cultura della società italiana che non limita la libertà a donne e uomini di esprimersi indipendentemente dal proprio genere di appartenenza. "Per educare occorre amare e credere: credere in Qualcuno capace di garantire un futuro, una speranza, capace di legittimare il dono della vita. Non si educa solo insegnando ma amando." (dal profilo Facebook di Federico Gilardoni, Consigliere di Amministrazione Università Degli Studi dell'Insubria).Un ricordo per Andrea. Riposa In Pace.
Maryli Zaccuri

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