La seconda parte cambia marcia rispetto alla prima. Le tematiche sopraelencate restano brace che silenziosamente continua ad ardere, però Rodrigues decide di (s)vari(on)are, non più l’aderenza al reale, non più Lisbona ma una magione isolata nella campagna. La gita fuori porta della coppia si trasforma in viaggio interiore dove il bosco diviene paesaggio dell’anima e la bizzarra proprietaria di casa, anch’essa transessuale e presente nell’enigmatico prologo dove (forse) assume i tratti di una simbolica sineddoche dell’alterità che l’etero Zé Maria non vuole eliminare perché riporta alla mente un’epifania paterna, un Cicerone che (ri)conduce l’io di Tonia nella sua custodia. L’importanza di questo segmento, così scollato e stonato in confronto a quanto veduto fino a poco prima, si riverbera in ciò che accade dopo, infatti il regista non farà proseguire il tragitto di Tonia e Rosário verso la meta iniziale, ovvero il fratello di quest’ultimo, ma li riporterà a casa e subito la drag queen in via di pensionamento giungerà alla chiusura del cerchio, letteralmente dissotterrerà i propri ricordi in un’emersione dolorosa e denudante: tolti gli abiti femminili, i boccoli alla ShirleyTemple e i seni che erano stati i primi a dare segnali di cedimento, resta l’Uomo, e attenzione non l’uomo, al cospetto dell’improrogabile Fine.
In questa vicenda che finisce per intristire anche il più ottimista degli spettatori, Rodrigues ci mette lo stile di chi il cinema lo sa fare, e bene. Il sottoscritto apprezza sempre quando la razionalità è arieggiata da spiragli d’inventiva anche slegati al contesto, e qui c’è di che gioire: il regista piazza di sovente delle finestre musicali cantate direttamente dagli attori in scena, le troviamo in un cimitero, dal parrucchiere, su un automobile, sono schegge autonome perfette per ossigenare il rigore tecnico e rendere palpabile l’estro che si mette a disposizione del cinema; non solo il grande e splendidamente grottesco finale la cui canzone intonata da Tonia è sintesi precisa di quanto si è visto, ma anche e soprattutto l’intermezzo nella radura con tanto di crepuscolare alterazione cromatica, quando si dice che una singola scena vale il prezzo del biglietto.