Dei campi di grano poetici, dei movimenti di macchina dal basso che vanno attorno ai protagonisti, una voce fuori campo altrettanto poetica, e il suo soffermarsi sulla natura, sugli animali, sulla loro bellezza.
Sì, siamo di nuovo di fronte ad un film di Terrence Malick.
Ma la differenza con I giorni del cielo, visto e recensito solo qualche giorno fa, è decisamente notevole, e a farla non sono certo i quasi 35 anni di distanza l'uno dall'altro.
Il regista notoriamente lento nella sua concezione di un film e nella sua realizzazione, che si prese una pausa ventennale prima di partorire nuove idee, si è messo nel giro degli ultimi anni a farne due e a metterne in cantiere altrettanti, e forse, proprio questo suo eccesso di progetti lo ha fatto sbandare nel facile e pericoloso rischio della ripetizione.
La bellezza, la poesia e l'incanto di The Tree of Life sono infatti innegabili, e sono riusciti a conquistare il pubblico e la critica, almeno in parte.
Il regista sembra qui voler ripetere la stessa formula, attraverso però un tema molto meno potente e molto meno d'impatto, passando dall'amore e dalla perdita di un figlio, alla fine e alla costruzione di un amore.
I protagonisti sono così una giovane madre francese e un ambientalista americano, che si incontrano a Parigi iniziando una storia d'amore che partirà dalla meraviglia di Mont Saint-Michel per approdare nei campi incontaminati (per ora) del Texas. La loro convivenza non sarà affatto facile, e poco ci è mostrato, molto ci è lasciato intuire sui problemi che li affliggono, tra fede, una figlia insofferente e una passione troppo unilaterale.
Ancora una volta, a parlare sono le immagini, mentre i dialoghi sono per lo più abbandonati e lasciati alla voice over poetica che ci guida e tenta di dare un senso a ciò che si vede, con la natura, l'onirico e il simbolico che spesso prevalgono.
Il problema è però che manca non solo l'effetto sorpresa in questa costruzione, che finisce quindi per essere un effetto ripetizione, ma anche dei protagonisti convincenti: la divina Jessica Chastain viene sostituita da una comunque bella Olga Kurylenko, Brad Pitt assume i panni monoespressivi di Ben Affleck, compare brevemente l'incantevole Rachel McAdams e pure l'abbastanza accessoria Romina Mondello, per non parlare di Javier Bardem, prete in crisi spirituale che è al centro della storia parallela dei due amanti, che sembra non appartenere al film, ma essere messa lì tanto per, come poi anche il tema ambientalista.
A salvare Malick potrebbe essere la fotografia, evocativa, splendente e suggestiva, soprattutto sul fronte parigino, ma anche qui s'incappa in qualcosa di già visto e conosciuto, in carrelli che girano attorno agli attori, che li inquadrano dal basso e li inseguono in continue giravolte che presto stancano.
E a stancare è la sceneggiatura stessa, anzi, il film stesso, che sembra non dire nulla di nuovo, non affrontare nulla da un nuovo punto di vista, nonostante l'occhio solitamente attento del regista, che incespica e riproduce la sua miglior prova, quando in realtà di carte in mano, magari anche migliori, ne avrebbe da giocare.
E così a prevalere è la sensazione di un passo falso, di un'occasione sprecata che brucia più di una semplice delusione.
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