A chi si illudeva fosse andato in ferie su quel ramo del lago di Como scambiato per un albero, Daniele Capezzone ha fatto sapere di essere presente, vigile, combattivo e ciarliero più che mai. Come quasi tutti sanno, familiari compresi, Capezzone ha un metro di paragone politico (incarnato da un personaggio), che rappresenta l’emblema del nemico. Quando paragona qualcuno ad Antonio Di Pietro, Daniele è come se tirasse in ballo Belzebù in persona intento a rubare l’anima a Faust. Lo ha fatto proprio ieri con Fini. Ha detto Capezzone: “Se passasse la tesi antigarantista esposta oggi da alcuni esponenti vicini a Gianfranco Fini e successivamente ribadita dallo stesso presidente della Camera, sarebbe il trionfo dello schema dipietrista…”. Come dire “la vittoria di Satanasso”, il diavolo tentatore di Sant’Antonio nel deserto. Ma in queste ore convulse in cui Fini, Bocchino e Granata attaccano a testa bassa gli inquisiti del loro partito, non poteva mancare l’aulico intervento di Sandro Bondi, in vacanza al dannunziano Vittoriale degli Italiani per cercare uno straccio di ispirazione poetica con il supporto di una medium incaricata di contattare l’anima del Vate. Ha detto il ministro (sic!) della Cultura: “Credo che non ci siano precedenti in Italia di interventi così marcati e ripetuti nel dibattito politico da parte di chi ricopre il ruolo di presidente della Camera. A prescindere dai contenuti delle opinioni politiche espresse, si finisce per venir meno in questo modo ai doveri che il proprio ruolo istituzionale impone e si sacrificano le istituzioni di garanzia”. Ma cosa hanno detto di tanto grave i finiani e lo stesso Gianfranco Fini? Solo che: “Le leggi non possono servire per tutelare i furbi e garantire un salvacondotto... Devono servire a ben altro “. Nel mirino del presidente della Camera questa volta c’è la Lega che ha imposto una legge, quella sulle quote latte degli allevatori padani, destinata ad essere duramente sanzionata dalla UE, un provvedimento che garantisce chi consapevolmente viola una norma europea producendo più latte di quello previsto dalle famose (o famigerate) “quote”. Il governo Berlusconi, qualora avessimo avuto bisogno di una conferma, è l’unico che non punisce i reati non perché non li persegue, semplicemente li depenna. Un giorno il falso in bilancio è reato il giorno dopo non più, basta un voto di fiducia e il gioco è fatto. Inutile ricordare che questa tecnica viene da lontano, la adottò Benito Mussolini all’indomani delle elezioni che lo videro trionfare dopo brogli, minacce e morti resuscitati in cabina. Ed è talmente inutile ricordarlo che, a breve, potremo leggere quello che accadde realmente all’epoca del fascio, direttamente dai diari del Duce che la Bompiani si appresta a pubblicare incurante della loro non veridicità, per la serie “un buon affare è sempre un buon affare”. A fronte di tutto questo, e delle entrate a gamba tesa dei finiani sul modo di intendere la politica degli attuali dirigenti del Pdl, Berlusconi che fa? Tace. Ma tace in modo strano, dichiarando preventivamente che tacerà il che equivale, comunque, a esprimere un giudizio di merito e di metodo. Silvio pensa ancora di turlupinare gli italiani in vacanza con i suoi escamotage mediatico-comunicativi, con alcuni il gioco è fin troppo facile, con altri comincia ad essere maledettamente complicato. Stanno cadendo tutte le maschere, gli alibi, le sceneggiate, i presunti miracoli e gli angeli custodi vaticani. Si stanno indignando pure Famiglia Cristiana, Avvenire e l’Osservatore Romano. La misura è colma e siamo convinti che basterebbe una piccola spinta a buttar giù "Mister soprattacchi e la sua band", ma D’Alema deve distruggere Vendola, Veltroni è in Africa a scrivere l’ennesima puntata della sua vita, Violante è in pellegrinaggio a Santiago de Compostela e Bersani mangia il gelato a Viale Ceccarini. Toc toc, c’è qualcuno nel Pd? Nichi non rispondere sempre tu!Ps. Un notaio ha ricordato a Silvio che, secondo l'atto costitutivo del Pdl, Fini non può essere buttato fuori dal partito. Il Capo ha dato letteralmente fuori di matto.
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A chi si illudeva fosse andato in ferie su quel ramo del lago di Como scambiato per un albero, Daniele Capezzone ha fatto sapere di essere presente, vigile, combattivo e ciarliero più che mai. Come quasi tutti sanno, familiari compresi, Capezzone ha un metro di paragone politico (incarnato da un personaggio), che rappresenta l’emblema del nemico. Quando paragona qualcuno ad Antonio Di Pietro, Daniele è come se tirasse in ballo Belzebù in persona intento a rubare l’anima a Faust. Lo ha fatto proprio ieri con Fini. Ha detto Capezzone: “Se passasse la tesi antigarantista esposta oggi da alcuni esponenti vicini a Gianfranco Fini e successivamente ribadita dallo stesso presidente della Camera, sarebbe il trionfo dello schema dipietrista…”. Come dire “la vittoria di Satanasso”, il diavolo tentatore di Sant’Antonio nel deserto. Ma in queste ore convulse in cui Fini, Bocchino e Granata attaccano a testa bassa gli inquisiti del loro partito, non poteva mancare l’aulico intervento di Sandro Bondi, in vacanza al dannunziano Vittoriale degli Italiani per cercare uno straccio di ispirazione poetica con il supporto di una medium incaricata di contattare l’anima del Vate. Ha detto il ministro (sic!) della Cultura: “Credo che non ci siano precedenti in Italia di interventi così marcati e ripetuti nel dibattito politico da parte di chi ricopre il ruolo di presidente della Camera. A prescindere dai contenuti delle opinioni politiche espresse, si finisce per venir meno in questo modo ai doveri che il proprio ruolo istituzionale impone e si sacrificano le istituzioni di garanzia”. Ma cosa hanno detto di tanto grave i finiani e lo stesso Gianfranco Fini? Solo che: “Le leggi non possono servire per tutelare i furbi e garantire un salvacondotto... Devono servire a ben altro “. Nel mirino del presidente della Camera questa volta c’è la Lega che ha imposto una legge, quella sulle quote latte degli allevatori padani, destinata ad essere duramente sanzionata dalla UE, un provvedimento che garantisce chi consapevolmente viola una norma europea producendo più latte di quello previsto dalle famose (o famigerate) “quote”. Il governo Berlusconi, qualora avessimo avuto bisogno di una conferma, è l’unico che non punisce i reati non perché non li persegue, semplicemente li depenna. Un giorno il falso in bilancio è reato il giorno dopo non più, basta un voto di fiducia e il gioco è fatto. Inutile ricordare che questa tecnica viene da lontano, la adottò Benito Mussolini all’indomani delle elezioni che lo videro trionfare dopo brogli, minacce e morti resuscitati in cabina. Ed è talmente inutile ricordarlo che, a breve, potremo leggere quello che accadde realmente all’epoca del fascio, direttamente dai diari del Duce che la Bompiani si appresta a pubblicare incurante della loro non veridicità, per la serie “un buon affare è sempre un buon affare”. A fronte di tutto questo, e delle entrate a gamba tesa dei finiani sul modo di intendere la politica degli attuali dirigenti del Pdl, Berlusconi che fa? Tace. Ma tace in modo strano, dichiarando preventivamente che tacerà il che equivale, comunque, a esprimere un giudizio di merito e di metodo. Silvio pensa ancora di turlupinare gli italiani in vacanza con i suoi escamotage mediatico-comunicativi, con alcuni il gioco è fin troppo facile, con altri comincia ad essere maledettamente complicato. Stanno cadendo tutte le maschere, gli alibi, le sceneggiate, i presunti miracoli e gli angeli custodi vaticani. Si stanno indignando pure Famiglia Cristiana, Avvenire e l’Osservatore Romano. La misura è colma e siamo convinti che basterebbe una piccola spinta a buttar giù "Mister soprattacchi e la sua band", ma D’Alema deve distruggere Vendola, Veltroni è in Africa a scrivere l’ennesima puntata della sua vita, Violante è in pellegrinaggio a Santiago de Compostela e Bersani mangia il gelato a Viale Ceccarini. Toc toc, c’è qualcuno nel Pd? Nichi non rispondere sempre tu!Ps. Un notaio ha ricordato a Silvio che, secondo l'atto costitutivo del Pdl, Fini non può essere buttato fuori dal partito. Il Capo ha dato letteralmente fuori di matto.
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