Era la persona più scaramantica mai vista, ma in un modo così amplificato da risultare irritante e, di certo, ridicolo agli occhi di chi non lo conosceva. A ogni gesto faceva seguire un contro-gesto tale da validare l’azione ai fini della buona sorte: l’interruttore della luce spento poi acceso poi spento di nuovo, ogni volta. Gli ultimi due gradini scesi, poi risaliti con una scusa qualsiasi (Aspetta fammi un po’ vedere?) e poi scesi nuovamente (Ah, niente). I punti lungo il percorso degli spostamenti quotidiani da nascondere alla vista: quello scoglio, quell’edificio tutto blu, quell’insegna sullo stabilimento. Le fughe tra le piastrelle sotto i portici da evitare come la peste, piastrelle sulle quali non si doveva poggiare più di un piede per volta, fino al classico uso di tenere le mani nelle tasche dei pantaloni, pronte ad allungarsi sui testicoli in caso di urgenza. Faceva di tutto per camminare alla sinistra delle persone, gli amici così lo provocavano mettendosi sempre alla sua sinistra per costringerlo a sbattere contro le auto parcheggiate a meno di non rinunciare alla protezione della sua scaramanzia. Poi quell’assurda mania di accendere due volte la sigaretta. Anzi, l’atto stesso di comprare le sigarette lo considerava sacrilego, probabilmente temeva l’aura dei tabacchini negativa e deleteria sull’andamento della sua esistenza già così difficile. Quindi era tutto uno scroccare le sigarette altrui, una continua questua. Ma non si era certi che il motivo fosse legato alla sua psicosi. In realtà era anche uno spilorcio e basta. Così un giorno, esasperati, alcuni amici fecero una colletta e gli regalarono una stecca di Camel, perché malgrado i suoi ridicoli balletti scaccia-iella gli volevano bene. Il regalo lo riempì di gioia, a tal punto che esultò per il gesto e ci disse che non avrebbe mai aperto quel dono così speciale, lo avebbe conservato sempre per ricordarsi di noi. E ci chiese se gli offrivamo una sigaretta, così, per festeggiare.
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