Giovane cineasta emergentedell’ultimo cinema giapponese, Okuda Yōsuke ha già avuto modo di attirarel’attenzione internazionale sul proprio lavoro grazie alla trilogia Hot as Hell (il cui terzo episodio Hot as Hell: The Deadbeat Match abbiamogià avuto modo di recensire). Il maggior budget a disposizione e la possibilitàdi ricorrere ad un cast già di un certo prestigio (la giovane modella UsudaAsami, Ōmori Nao che fu Ichi in Ichi theKiller, e Mitsuishi Ken già visto in Noriko’s Dinner Table, Nightmare Detective 2e Himizu) non hanno modificatod’alcunché il modo di intendere ilproprio lavoro da parte del regista. Il modello di riferimento è sempre quellodel cinema di Tarantino (cui l’ultimo episodio della già citata trilogia eraesplicitamente dedicato), in una logica squisitamente postmoderna (comeprogrammaticamente testimonia la prima inquadratura del film: quel dettagliodella fiamma di un accendino e di una sigaretta che è divenuto un vero eproprio marchio identificativo di un certo tipo di cinema, almeno da Cuore selvaggio in poi). Come i precedentisuoi film, inoltre, anche Tokyo PlayboyClub è ambientato del mondo della malavita, intorno a personaggi diperdenti cronici, che ruotano intorno ad un locale di prostituzione in cui maisi vede un cliente. I due protagonisti, il quasi psicopatico Katsutoshi, e lagiovane lettrice dei romanzi di Osamu Dazai, Eriko, ci finiscono, perché, comeloro stessi affermano, non hanno un posto migliore dove andare. L’intreccio del film ruota sullamorte di un boss yakuza e sul tentativo dei suoi uomini di vendicarlo, fattoche coinvolge insieme a Katsutoshi e Eriko, anche il proprietario del Tokyoplayboy club, Senkichi. Come già accadeva in precedenza, Okuda mescolapersonaggi segnati dal mal di vivere a delle figurine da fumetto (ad esempio idue chinpira), e li trascina tutti inun vortice di situazioni dal carattere tragicomico (che ricordano un po’ ilprimo Sabu). La già citata dimensione postmoderna del film è evidente daltrattamento spesso ironico di situazioni di per sé drammatiche. Si pensi alrinvenimento del cadavere del boss yakuza da parte di Senkichi e Katsutoshi,che trovano il modo di divertirsi davanti alla fotografia di un documento dellavittima, e al grembiulino che (insieme a dei guanti di gomma, una mascherina edegli occhiali da saldatore) Katsutoshi indossa prima di fare a pezzi ilcadavere (cosa che avverrà rigorosamentefuoricampo). O ancora si veda la scena in cui sono gettati nel fiume isacchetti contenenti le diverse parti del corpo del boss, nel corso della qualeSenkichi si preoccupa soprattutto del fatto che la sua preziosa mazza da golfnon finisca in acqua. La parte finale del film vira suun tono più drammatico, come in particolare testimonia il pre-epilogo conKatsutoshi ed Eriko che in auto esprimono l’un l’altro tutto il loro disagioesistenziale, quasi nella forma di un anti-climax (a questo punto della storiaci si aspetterebbe più azione e ritmo). Altri aspetti caratterizzanti il lavorosono l’uso insistito di canzoni pop (come quella giapponese che si avviacasualmente quando con un radioregistratore anni Ottanta, Eriko colpisce allatesta uno dei due chinpira) o quellache ad alto volume accompagna le ultime immagini del film, e una certadisinvoltura sul piano stilistico: dall’uso dei jump cut nelle scene diconversazione delle hostess del club, a quello da Bmovie dello zoom e dei primipiani nella scena del confronto definitivo fra Katsutoshi e i due assassini,sino all’originale inquadratura in profondità di campo che mostrasull’avan-piano il volto di Eriko coi suoi auricolari mentre è immersa nellalettura di un romanzo, e sullo sfondo il fidanzato Takehiro, che si agitafacendo le valige, mentre la ragazza nemmeno si accorge della sua presenza.Presentato in anteprima mondiale al festival di Pusan e vincitore dello StudentJury Prize del Tokyo FILMeX (il festival voluto da Kitano Takeshi), Tokyo Playboy Club fa di Okuda Yōsukeuno dei cineasti giapponesi che varrà la pena di seguire nei prossimi anni.[Dario Tomasi]
Giovane cineasta emergentedell’ultimo cinema giapponese, Okuda Yōsuke ha già avuto modo di attirarel’attenzione internazionale sul proprio lavoro grazie alla trilogia Hot as Hell (il cui terzo episodio Hot as Hell: The Deadbeat Match abbiamogià avuto modo di recensire). Il maggior budget a disposizione e la possibilitàdi ricorrere ad un cast già di un certo prestigio (la giovane modella UsudaAsami, Ōmori Nao che fu Ichi in Ichi theKiller, e Mitsuishi Ken già visto in Noriko’s Dinner Table, Nightmare Detective 2e Himizu) non hanno modificatod’alcunché il modo di intendere ilproprio lavoro da parte del regista. Il modello di riferimento è sempre quellodel cinema di Tarantino (cui l’ultimo episodio della già citata trilogia eraesplicitamente dedicato), in una logica squisitamente postmoderna (comeprogrammaticamente testimonia la prima inquadratura del film: quel dettagliodella fiamma di un accendino e di una sigaretta che è divenuto un vero eproprio marchio identificativo di un certo tipo di cinema, almeno da Cuore selvaggio in poi). Come i precedentisuoi film, inoltre, anche Tokyo PlayboyClub è ambientato del mondo della malavita, intorno a personaggi diperdenti cronici, che ruotano intorno ad un locale di prostituzione in cui maisi vede un cliente. I due protagonisti, il quasi psicopatico Katsutoshi, e lagiovane lettrice dei romanzi di Osamu Dazai, Eriko, ci finiscono, perché, comeloro stessi affermano, non hanno un posto migliore dove andare. L’intreccio del film ruota sullamorte di un boss yakuza e sul tentativo dei suoi uomini di vendicarlo, fattoche coinvolge insieme a Katsutoshi e Eriko, anche il proprietario del Tokyoplayboy club, Senkichi. Come già accadeva in precedenza, Okuda mescolapersonaggi segnati dal mal di vivere a delle figurine da fumetto (ad esempio idue chinpira), e li trascina tutti inun vortice di situazioni dal carattere tragicomico (che ricordano un po’ ilprimo Sabu). La già citata dimensione postmoderna del film è evidente daltrattamento spesso ironico di situazioni di per sé drammatiche. Si pensi alrinvenimento del cadavere del boss yakuza da parte di Senkichi e Katsutoshi,che trovano il modo di divertirsi davanti alla fotografia di un documento dellavittima, e al grembiulino che (insieme a dei guanti di gomma, una mascherina edegli occhiali da saldatore) Katsutoshi indossa prima di fare a pezzi ilcadavere (cosa che avverrà rigorosamentefuoricampo). O ancora si veda la scena in cui sono gettati nel fiume isacchetti contenenti le diverse parti del corpo del boss, nel corso della qualeSenkichi si preoccupa soprattutto del fatto che la sua preziosa mazza da golfnon finisca in acqua. La parte finale del film vira suun tono più drammatico, come in particolare testimonia il pre-epilogo conKatsutoshi ed Eriko che in auto esprimono l’un l’altro tutto il loro disagioesistenziale, quasi nella forma di un anti-climax (a questo punto della storiaci si aspetterebbe più azione e ritmo). Altri aspetti caratterizzanti il lavorosono l’uso insistito di canzoni pop (come quella giapponese che si avviacasualmente quando con un radioregistratore anni Ottanta, Eriko colpisce allatesta uno dei due chinpira) o quellache ad alto volume accompagna le ultime immagini del film, e una certadisinvoltura sul piano stilistico: dall’uso dei jump cut nelle scene diconversazione delle hostess del club, a quello da Bmovie dello zoom e dei primipiani nella scena del confronto definitivo fra Katsutoshi e i due assassini,sino all’originale inquadratura in profondità di campo che mostrasull’avan-piano il volto di Eriko coi suoi auricolari mentre è immersa nellalettura di un romanzo, e sullo sfondo il fidanzato Takehiro, che si agitafacendo le valige, mentre la ragazza nemmeno si accorge della sua presenza.Presentato in anteprima mondiale al festival di Pusan e vincitore dello StudentJury Prize del Tokyo FILMeX (il festival voluto da Kitano Takeshi), Tokyo Playboy Club fa di Okuda Yōsukeuno dei cineasti giapponesi che varrà la pena di seguire nei prossimi anni.[Dario Tomasi]
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