Tokyo Station

Da Gloutchov
Mi mancherà parecchio Harry Niles. Tokyo Station è un romanzo che lascia il segno. Ha tutti gli ingredienti che possono interessare, e li dosa sapientemente, coraggiosamente, creando una storia che sorprende da molti punti di vista.
Siamo all'alba del conflitto tra Giappone e America. A Tokyo la parola guerra viene sussurrata sempre più insistentemente, e ciò accade nonostante a gran voce si parli di accordi, di distensione, e di amicizia tra i due paesi. Il Giappone è un paese particolare. Grazie all'America, alla importazione di petrolio, ha conosciuto l'industrializzazione e lo sviluppo con un ritmo a dir poco scalpitante. Su imitazione dell'occidente, anche il Giappone ha cominciato a credere di essere un paese illuminato, e allo stesso tempo, di avere il dovere di portare in Asia il cosiddetto progresso. Dopo aver sbaragliato Russia e Cina, ora però l'Impero si trova circoscritto in un embargo che rischia di far crollare il castello di carte giapponese. Niente petrolio, niente carburante, niente energia, niente navi, niente di niente. Ed è per questo che i primi attriti cominciano a svilupparsi tra Stati Uniti e Giappone. Ma cosa c'entra Harry Niles in tutto ciò? Lui è Americano d'origine, figlio di missionari, cresciuto in Giappone come un gaijin, riesce a integrarsi nella cultura nipponica come nessun'altro. Allevato da un artista e da una geisha per via della continua assenza dei propri parenti occidentali, Harry diventa un uomo dalle mille sfaccettature, per certi versi un poco di buono, per altri una persona su cui contare, per altri ancora un vero e proprio mistero. Gestisce un locale notturno, ha una storia con una misteriosa ragazza giapponese, gioca a dadi e carte, ottiene e fa favori a persone altolocate, nonché ricche, della capitale nipponica. Ha rapporti con l'esercito, con la marina militare, e anche con la polizia. Harry Niles ha le mani in pasta in ogni cosa, tanto che è accolto amichevolmente da tutti in superficie, ma è invidiato (se non addirittura odiato) in profondità.  Ciò lo mette al centro di una questione di spionaggio militare. Ciò lo mette in condizione di giostrare i fili che guidano molte marionette sul palco della guerra. Tra le sue dita c'è il futuro delle sue patrie, ma c'è anche il futuro di amici, di conoscenti, e di irriconoscenti.
E' una vicenda davvero intrecciata, resa ancora più affascinante dalla cultura asiatica, che nelle pagine del romanzo è descritta minuziosamente tanto da sentircisi immersi sin dalle prime pagine. I personaggi sono dotati di mille sfaccettature. Si impara a comprendere la grande differenza tra lo spirito giapponese e quello occidentale. Smith è abile nel trasformare il complicato in semplice. Mi rimane impresso un breve paragrafo in cui Harry constata quasi divertito la differenza di comportamento degli occidentali nei confronti di un torto subito, e quello orientale. Così come la differenza nell'esprimere l'offesa... dove in occidente esistono decine e decine di forme verbali offensive, in Giappone tutto si riassume, si concentra, e si trasmette nella parola 'sciocco'. E la potenza che quella parola assume va a nebulizzare una qualunque forma di offesa occidentale. Lascia paralizzati, costernati, e non si può fare a meno di chiedere scusa.

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