In questi giorni mi è capitato di incontrare la giovane madre di un ragazzino dislessico di seconda media la quale sostiene di avere un problema con le insegnanti di suo figlio. Malgrado le sue insistenze e le sue più che soddisfacenti giustificazioni, le insegnanti richiedono che il ragazzino lavori in gruppo con i compagni per alcuni compiti a casa consistenti in una ricerca da svolgere in biblioteca.La signora mi dice che non può certo scomporre il calendario prestabilito per il figlio consistente in una serie di attività di supporto allo studio e di rinforzo di alcune aree disciplinari che si vanno ad incastrare ad una serie di attività fisiche e sportive che vanno a compendiare i pomeriggi e le serate del ragazzo e non certo per svago ma per una fondamentale necessità di lavorare sulla sua autostima. Si tratta di un sistema di impegni pazzesco che non lascia un attimo di respiro al ragazzino; si alternano ore di studio supportato da figure d’aiuto a ore di studio libero che si incastrano in ore di allenamenti sportivi e il tutto intervallato da supervisioni effettuate dalla signora stessa che ha organizzato un suo orario lavorativo part-time per poter sovraintendere al tutto. Insomma, la signora non ritiene opportuno toccare nemmeno un’ora nella fitta griglia dell’organizzazione del tempo che il ragazzo passa a casa. Tutto è stato perfettamente razionalizzato e - sempre secondo la signora – costituisce un piano perfetto per consentire al ragazzo di raggiungere e mantenere dei risultati ottimali nello studio e nell’autonomia e garantirsi così, il successo scolastico. Le chiedo cosa dicono le insegnanti trovandosi di fronte ad una serie di motivazioni così articolate e sistematizzate. La giovane mamma mi dice, con tono quasi scanzonato e tradendo nella piega che prende la sua bocca, una sferzante ironia, che loro - le insegnanti – sostengono che è importante per il ragazzo che possa stare con i compagni perché questo non solo aiuta la sua socializzazione ma favorisce la costruzione di una serie di autonomie importanti per la sua crescita. Non faccio nemmeno in tempo a chiederle cosa ne pensa delle motivazioni che adducono le insegnanti, che la signora, enfatizzando la sprezzante smorfia che le solca il viso conclude: “Tutte cazzate”.Chiacchieriamo un pochino e cerco di riarticolare con lei un discorso che possa lasciar intravedere qualche spazio utile per aprire alla possibilità di cambiare qualcosa per consentire al ragazzo di fare il lavoro coi compagni. Ad un certo punto della conversazione la signora – un po’ snervata forse dalla mia insistenza nel tornare ancora sul punto di vista della scuola – mi dice una cosa che mi colpisce: “ Ma lei ha capito che queste qui non fanno altro che disturbare la regolare e faticosa crescita di mio figlio?” Eccolo, ancora lui, il disturbo e questa volta si presenta sotto la forma di un gruppo di insegnanti che chiede che un ragazzo possa svolgere un compito condividendo l’esperienza con un gruppo di compagni. Nel film che citavamo nello scorso post, Augusto, il protagonista, non solo è il disturbo in un mondo che scorre in un certo modo prima della sua ricomparsa, ma è allo stesso tempo disturbato da un mondo che scorre in modo diverso da quello che lui desidera. Questa mamma è disturbata dalle interferenze che arrivano da fuori e che vanno ad interferire con il suo piano di recupero, di sostegno, di rinforzo e che per qualche istante insinuano il dubbio nelle sue convinzioni. Insomma anche lei subisce lo iato che viene a crearsi tra le proprie soggettive istanze e convinzioni e le richieste che arrivano da ciò che la circonda e che continua a manifestare aspettative diverse dalle sue. Un altro aspetto che tocchiamo nella chiacchierata con la signora è quello della relazione che il figlio ha con i compagni di classe che lo svalutano e lo deridono rispetto alle sue difficoltà e che lo fanno sentire stupido. Anche loro sono disturbati da qualcuno che non corrisponde nel suo funzionamento a quello che è ritenuto adeguato e corretto. Insomma qualcun altro che avverte un disturbo e che ritiene che questo possa in qualche modo minacciare la propria normalità. La signora è molto arrabbiata per questo e così cerchiamo di ragionare sul fatto che magari partecipare con i compagni a delle attività di gruppo possa aiutare il ragazzo. Non se ne parla; il calendario delle attività a casa non si tocca e non esiste nessun piano B. Anch’io ero disturbato dalla signora, dalla sua mancanza di attenzione per un ragazzino che sta rinunciando a molte cose in nome di un successo (di un certo tipo di successo) scolastico che probabilmente neppure desidera; di un’autostima costruita da altri in un artificioso laboratorio di esperienze che chissà se sono quelle che lui vorrebbe fare davvero. Insomma ero disturbato dall’idea che il disturbo dell’apprendimento di questo tredicenne è ben poca cosa al cospetto di quel disturbo esistenziale che egli invece subisce ogni giorno. E non si tratta solo del disturbo del ragazzino, ma del disturbo della madre, dei compagni di classe, degli insegnanti. Riflettevo su come il disturbo nelle sue manifestazioni assuma una connotazione sempre meno specifica e riveli man mano una sua natura molto più complessa; e quando si parla di complessità, la tentazione immediata è quella di semplificare. Resistendo alla tentazione della semplificazione riduttiva è necessario sostare nella complessità cercando di cogliere le dimensioni che si muovono e prendono forma intorno alla questione dei disturbi dell’apprendimento e che guardati da altri punti di vista assumono la forma di disturbi della relazione e ancora dei disturbi esistenziali nei quali ognuno di noi si muove. Ciò che sembra disturbare davvero è il conflitto che naturalmente si ingenera quando entrano in relazione sistemi complessi come le persone e le organizzazioni umane. La difficoltà diventa - allora - quella di aprire alla possibilità di ascoltare i disturbi che sono comunque segnali e sintomi che vanno ad assumere una loro funzione all’interno di un sistema che riteniamo normale e che viene sollecitato e interrogato da qualcosa che non era previsto, da qualcosa che intralcia il nostro funzionamento così come lo abbiamo previsto e come pensiamo debba essere. La signora ritiene che il suo modo di far fronte alle difficoltà del figlio sia quello che lei ha pensato e strutturato e che la proposta che arriva dalla scuola sia solo un disturbo così come alcuni insegnanti ritengono che il modo per imparare alcune cose sia quello che loro propongono senza prendere in considerazione che si può imparare anche in altri modi. Dentro queste rigidità - che non fanno che aumentare la conflittualità - si insinua una fatica che caratterizza le relazioni e che impedisce l’evoluzione e i cambiamenti delle situazioni che troppo spesso incontriamo. La meraviglia di genitori e insegnanti di fronte al disagio dei bambini e dei ragazzi che non trovano altro modo che non quello di evitare e prendere in giro chi presenta della difficoltà e l’unica cosa che davvero mi meraviglia e per questo voglio riproporre un video che ha fatto il giro della rete e che molti già conosceranno ma che ritengo efficace al fine di una possibile riflessione.
Michele Stasi
Magazine Psicologia
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Massimo Silvano Galli
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