Magazine Cinema
Xavier Dolan-"Mommy" e 4 anteprime
TOM A' LA FERME
di Xavier Dolan
con Xavier Dolan, Evelyne Brochu,
Canada, Francia, 2013
genere, drammatico
durata, 105'
"Tom à La ferme" è il quarto film di Xavier Dolan e il primo a non essere basato su una sua sceneggiatura, sebbene anche in quest’opera uno dei centri propulsori dell’azione sia il rapporto madre-figlio. Nonostante la pièce sia stata scritta da Michel Marc Bouchard (e da questi adattata alle esigenze filmiche assieme al regista), l’opera si inserisce molto bene all'interno del percorso di Dolan. Il Tom (lo stesso Xavier Dolan), protagonista fin dal titolo, è un ragazzo poco più che ventenne di Montreal, capelli decolorati, viso pallido e un abbigliamento che ne esalta la magrezza e la fragilità. Potrebbe essere l’emblema dell’hipster o del radical chic, sormontato da una folta chioma di capelli biondi e sporchi, un tatuaggio di Matisse sull'avambraccio sinistro e le gambe avviluppate in pantaloni strettissimi. Dopo la morte del compagno Guillaume, Tom si reca al funerale assieme alla famiglia dell’amato. Più si addentra nella campagna del Quebec, più le strade, ruvidi e affusolati labirinti, sono dominate da colori e atmosfere campestri, che creano un certo senso di isolamento e depressione. Il marrone della terra e il giallo delle irte spighe di mais, stesso colore dei capelli di Tom - con cui in una scena magistrale si mimetizzerà-, non hanno nullo di idilliaco o bucolico, ma anzi conferiscono alla scenografia un che di ridondante e conturbante, creando un’unica spenta cromia morta, da cui pare impossibile evadere. La madre di Guillame, Agathe (Lise Roy), è una vecchia donna sola con una percezione della realtà alterata, in attesa che Sara, la morosa del figlio (Evelyne Brochu) arrivi per la cerimonia funebre. Ella non sa tuttavia che il figlio era gay, ma è felice di apprendere che Tom -che crede essere uno degli amici e confidenti più stretti del figliolo -, è disposto a sostare presso l'azienda agricola con lei. Le cose iniziano a farsi sempre più strane quando Francis, il fratello del defunto (Pierre-Yves Cardinal), figlio, amante e sostengo della vecchia madre, sfida violentemente il protagonista in momenti di fragilità –mentre questi dorme o, omaggiando certamente Hitchcok, durante una doccia -, obbligandolo a mantenere segreta la relazione omossessuale che intratteneva col fratello morto.
Magnifica in questo senso la presenza scenica di Francis, che non entra nell’immagine compostamente, ma piuttosto si impone in tutta la sua grandezza e ferocia. Dolan crea una scenografia tetra e brulla, una campagna quasi monocromatica, grazie a cui dal melò approda al thriller psicologico, con un paio di colpi di scena degni di un horror. Le performances recitative di tutti gli attori sono estremamente forti. Dolan è eccezionale nel ruolo di chi lotta col suo dolore in un luogo in cui si fatica ad avere qualsiasi tipo di comunicazione o sollievo, dal momento che il silenzio e la menzogna sono d’obbligo, anche relativamente alle circostanze in cui Guillame ha trovato la morte. Cardinal è una presenza minacciosa, sebbene si presenti egli stesso estremamente insicuro e succube di un amore materno forse un po’ eccessivo, come dimostra il suo disperato tentativo di approfittare della presenza di un esterno nella fattoria per esplorare i limiti della propria sessualità. Come già mostrato nei suoi precedenti lavori, l’enfant-terrible della cinematografia canadese, non sbaglia nemmeno nella scelta della fotografia, eccellentemente realizzata da Andre Turpin, esperto a intrappolare i personaggi entro i confini di una cornice, comprimendo la loro facce in costante ravvicinamento. Se in "Mommy" il formato 4:3 sbatteva il viso di un personaggio contro quello dell’altro, rendendo inevitabile lo scontro, in "Tom a La Farme" anche usando il classico 16:9 riesce comunque ad inquietare, mozzando i visi degli attori in un quadro quanto mai grottesco, ingabbiandoli in un vera e propria “tela del ragno”, che rispetta le vicende narrative in atto. In una scena alla fine della pellicola, quando Sara arriva a confortare Agathe, Turpin isola ogni personaggio nel proprio spazio, concentrandosi su ciascuno, catturandone ogni minimo gesto muscolare, respiro e affanno.
Questo effetto, irraggiungibile attraverso il teatro di Bouchard, permette a Turpin e Dolan di stringere lo spazio e mostrare la divisione e l'isolamento dei quattro personaggi principali. In altri momenti, viene fotografata la lotta di potere tra il delicato Tom e il fiero Francis, come durante un tango erotico tra i due nella stalla, che si aggirano minacciosamente l’uno attorno all’altro. Nel frattempo, il compositore premio Oscar Gabriel Yared (Il paziente inglese) offre un punteggio audace e dissonanti, belante come le grida degli animali della fattoria, delegate allo sfondo. La musica segue l’esperienza di Tom in azienda, se prima era violentemente amplificata e protagonista, col passare dei giorni diviene sempre più scura, gli accordi e le dissonanze sono fedeli al senso di trappola, e solo quando riuscirà finalmente a scappare e vedere i colori di Montreal, anche il pop tanto caro a Dolan tornerà fiero.
Dolan fornisce un fine ritratto psicologico di uno dei possibili modi di reagire al dolore per la perdita e al lutto: l’espiazione. Il protagonista cerca, vuole e volontariamente si accolla il peso dell’efferratezza di Francis sino a quando il suo processo di elaborazione personale non gli consentirà di fare i conti con la realtà e reiniziare a vivere.
La storia non fornisce risposte concrete e i protagonisti paiono muoversi per inerzia, forse mossi da un sadico burattinaio che li rende carne da macello –non a caso sarà proprio Tom ad accorgersi della morte di un vitellino e a trasportarne il cadavere–, tanto che gran parte delle relazioni intrapersonali sono buie e sotterranee, poco chiare a una prima lettura, dominate da una perenne sensazione di insicurezza che non permette di andare oltre la superficie. Tom diviene presto ingranaggio di questo gioco perverso di cui Francis e' padrone, e si scopre complice del suo stesso carnefice, decidendo di reggere la pantomima contro l'ignara madre.
Erica Belluzzi
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