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L’INTERVISTA La prima cosa che colpisce, avendo tra le mani la copertina di “Always”, è il colore, caratteristico dei due elementi che impregnano la cover dando il senso dell’infinito, il cielo e il mare. Il concetto di infinito si può associare alla libertà (tua esigenza primaria da quanto leggo sul comunicato stampa), alla frustrazione di non arrivare mai alla meta e… potrei continuare a lungo. Perché hai scelto quelle immagini per il tuo album? Entrambi i miei dischi hanno un colore dominante in copertina. Ma un senso di, seppur leggera, malinconia pervade solo il primo lavoro. Considero Always una stazione felice. Un momento di pace scolpito nel mio tempo. Pertanto non ho mai pensato all’’infinito del mare e del cielo, al loro bell’azzurro, come all’espressione delle mie insoddisfazioni. Vivo in un’isola e il mare, anche quanto porta morte e sciagura, è semplicemente lo specchio delle cose. Se la prima opera è spesso un primo bilancio di vita, con la seconda si inizia il vero percorso musicale. Che tipo di distacco esiste tra “This i show I feel” e “Always”? E’ davvero, il secondo, l’inizio di un viaggio più maturo? Onestamente non riesco a pensare al futuro, mi sto concentrando molto su questo disco, sulle sue canzoni e sulle sensazioni che mi danno nel riascoltarle e nel suonarle dal vivo. Fino a non molto tempo fa ti avrei parlato di futuro in modo assillante. Per la prima volta nella mia vita sono concentrato sul solo presente. Mike 3rd è musicista molto impegnato nel sociale. Che tipo di arricchimento personale ne hai tratto incontrandolo, al di là degli aspetti tecnici? Mike è anche una persona molto discreta e riservata. Non l’ho mai sentito vantarsi dei risultati raggiunti e del suo impegno nel sociale, che ho scoperto quasi per caso. In un certo senso vorrei conoscerlo meglio. Se un giorno me lo chiedesse, sarei ben lieto di aiutarlo, magari con un paio di nuove canzoni per Natale. Esiste un gruppo od un musicista che ti ha influenzato a tal punto da condurti sulla via della musica?
Mi sputtano ma ti rispondo con estrema sincerità. Ho deciso che sarei divenuto un musicista dopo aver ascoltato per la prima volta l’intro di The Final Countdown. Avevo nove anni e gli Europe erano la cosa più figa che avessi mai visto e sentito. Era bello sognare di fare il cantante per una band di successo. Poi sono arrivati i Doors e i Blind Melon e la musica è divenuta la sola cosa a cui tenessi. Che importanza dai ai messaggi contenuti nelle liriche, esprimibili attraverso la musica? Avevo 18 anni e il batterista della mia prima band mi fa: “ma a me delle parole non me ne frega proprio niente”. Bella cosa ho pensato da dire ad un cantante. Qualche anno dopo, in un’altra band, mi avvicina il bassista, era piacevolmente sorpreso dei testi. L’ho considerato un caso più unico che raro. D’altronde anche le linee di basso non è che se le filano proprio in tanti. I miei genitori mi hanno sempre comprato un sacco di libri, i primi che ricordo sono Le avventure di Tom Sawyer, I ragazzi della via Pal, David Copperfield. Poi è arrivata la poesia, Walt Whitman, Rimbaud, Trakl. È così triste scartare le liriche a favore della sola musica, o di giustificarsi dicendo di non sapere l’inglese. Ma il giorno in cui quel batterista si troverà di fronte alla ragazza giusta vedrai che capirà l’importanza delle parole e del modo in cui si dicono o cantano. Che tipo di interazione riesci a stabilire con il tuo pubblico in fase live? Quando ero semplicemente il cantante di una band le cose erano più semplici. Dividevo tutto, timori e aspettative, con il mio gruppo, dalla sala prove al palco. Le cose sono cambiate quando ho cominciato ad esibirmi come solista. Inizialmente mi sentivo un corpo estraneo. Anche a fine concerto erano molte meno le persone che venivano a congratularsi per lo show. La gente, credo, tende ad immedesimarsi più con un collettivo che con il singolo artista, soprattutto se questo non è famoso. Un giorno però mi chiamano per andare a suonare in un locale importante di Milano e lì, davvero, per la prima volta, ho sentito di dare qualcosa alla gente, mi seguivano ed erano entusiasti, cosa non da poco ascoltavano in silenzio. Ad ottobre del 2010 mi è ricapitato di suonare da solo. Ad un certo punto i ragazzi hanno iniziato a ritmare con piedi e mani, cantando con me, una canzone che non avevano mai sentito prima. È stato il mio momento live più bello. Sono ancora molto grato a chi mi ha trovato quella data. Quando componi hai un unico metodo di lavoro o è l’ispirazione che ti guida? Chiarisco, arriva prima la musica o le parole o non c’è una regola precisa? Ad un certo punto senti fame e ti alzi, guardi nel frigo e inizi a cucinarti qualcosa. Funziona così. Sento che ho voglia di suonare, prendo la chitarra, ci strimpello sopra e magari vado a vedere se in giro per casa trovo dei versi. Combino le due cose e, solo quando musica e parole si fondono, considero terminata la canzone. In generale devo avere qualcosa da dire. La musica aiuta le parole e viceversa. A volte ci sono delle belle frasi, ma dov’è la musica giusta? Bisogna saper aspettare. Non ti conoscevo, e appena ho letto il nome “Tommi” la mente è corsa istintivamente agli WHO e alla contemporaneità di estremi talenti a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Che cosa accade secondo te oggi… crisi di talenti o di opportunità? Al David Letterman Show ho visto esibirsi Lykke Li, bellissima e bravissima. Ho ordinato subito il suo disco. Quest’estate ho scovato postata su Facebook una versione live di Dirty Blue dei Woven Hand, anche in questo caso ho ordinato l’album. Non so se ci sia meno roba in giro, ma per quanto funzioni, la rete non ha lo stesso potere della televisione e in televisione, salvo poche eccezioni, la roba nuova buona non passa. Una cosa che trovo accomuni le nuove proposte è il bisogno di esprimersi attraverso arti differenti, capaci di accompagnare passo dopo passo la musica. Sei mai stato interessato all’interazione di arti differenti? Con la musica avvicino, al suonare, lo scrivere (i testi) e il fotografare. Tutte le foto che trovi nei miei dischi le ho fatte io. Mi piace molto l’immagine, ho girato un video per We and all our friends, dal primo disco. Adesso ne sto preparando altri due, uno per Always. Da piccolino avevo provato a dipingere e disegnare fumetti, sembrava funzionare ma poi… 10)Prova ad aprire il libro dei desideri e scrivi il tuo futuro musicale da qui al 2015. Ti rubo un anno e arriviamo al 2016, anno in cui vorrei ristampare This is how I feel, per il decennale. In mezzo almeno altri due dischi. Non è facile, ma se Always funziona può anche darsi di sì.
Chi è Tommi
Tommi, al secolo Tommaso Varisco, proviene da Chioggia (VE) e nel 2006 ha pubblicato This is how I feel, un felice disco d'esordio che gli è valso ottimi responsi critici e importanti passaggi radiofonici come Demo (Rai). All'inizio del 2011 Tommi ha incontrato Mike 3rd, chitarrista di Ex KGB e Tunatones ma soprattutto deus ex machina della Prosdocimi Records, che ha prodotto Always, affidando il mastering a Ronan Chris Murphy, già uomo di regia per King Crimson, Tony Levin, Steve Morse e molti altri.
Informazioni:
Tommi Myspace:
http://www.myspace.com/tommi95
Prosdocimi Records:
http://www.prosdocimirecords.com
Ufficio stampa Synpress44:
http://www.synpress44.com
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