Too Rude. Ovvero: quando Scribacchina salvò capra e cavoli

Creato il 03 aprile 2012 da Scribacchina

L’odierna storiella è tanto simpatica che, no, soliti lettori, non l’utilizzerò a mo’ di prologo. Merita bene posto a sé stante, nell’olimpo delle avventure e disavventure scribacchiniche.

Che poi, a ben guardare, mica è storiella colla esse maiuscola. Trattasi di piccolobanale cameo, sorridente ricordo che serbo nel cuore e che quest’oggi condivido con voialtri, soliti e giovinissimi lettori.

Beh. «Giovinissimi» non proprio, se sapete chi sono i Too Rude.

Ma andiam con ordine.
E… zitti, zitti… lì in fondo, quella mano: solito lettore, parla ad alta voce, ché qui non s’ode nulla.
Che domandi?
T’interessa sapere perché proprio oggi vado a propinarvi la storiella dei Too Rude?

Domanda pertinente e che rivela un certo gusto per l’indagine, signor mio.
Devi (e dovete) sapere che proprio jer sera la Scribacchina fu presa in un vortice d’appuntamenti lavorativi che si protrassero a lungo. Tanto a lungo che sottoscritta e accompagnatori decisero di concluder la serata affogando «le mirabilie d’internet» nella tradizional pinta di birra.
Essendo già in
location Bergamo city, essendo lunedì sera, essendo – dannazione – il The Dome in giorno di settimanal chiusura, posto prescelto fu un noto irish pub della Città dei Mille: tal O’Deas. Posto che ben conosco, luogo di musical frequentazioni negl’anni passati e pure recenti.
Vi si esegue musica dal vivo. 

Sì, musica dal vivo.
La musica che va oggidì.
Cover, ça va sans dire
Pure jer sera vidi duetre cartelloni inneggianti ad altrettante cover band che si esibiranno nei fine settimana a venire.
Per mia fortuna, il lunedì sera è giornata di fùtbol (non che lo sport della palla abbia un qualche minimo interesse per la sottoscritta, ma perlomeno il silenzioso maxischermo rubò la scena ai soliti sosiacloni degl’altrettanto soliti rocker).

Orbene, transitando pel locale in direzione toilettes, aggirai il soppalco che funge da palcoscenico per i Pelù della bergamasca.
Ed ebbi un’illuminazione.
Il cielo si squarciò.
Apparve un raggio di sole, che in seguito mi resi conto essere il fascio di luce d’un proiettore.
Mi ritrovai comodamente seduta tra il pubblico d’un cinema di periferia. Come in un film, rividi quanto accadde proprio in quel luogo una decina d’anni fa.

Ottobre 2000, più o meno.
Mi capitò d’intervistare tal Chris Blanden, bravo e bel giovine nonché bassista dei Too Rude. Questi ultimi eran gruppetto pop/rock dalle origini inglesi ma di stanza – e ben piantati – in Italia (vi rifilerò l’intervista nei prossimi giorni, giusto il tempo di recuperarla).

Ricevetti pochi mesi dopo notizia che i Too Rude si sarebbero esibiti all’O'Deas; dal tempo dell’intervista, il vocalist aveva fatto in tempo ad andarsene dalla band e v’eran stati altri cambiamenti d’organico. Eppure, nonostante tutto, il Chris era ancora ben piantato sul suo basso.
«Ottimo», dissi tra me e me.
Mi circondai dunque d’uno sparuto gruppetto d’amici
poprokkettari e tutt’insieme ci recammo in loco. Con debito anticipo, debito sequestro d’un tavolino in zona strategica e debita ordinazione d’un paio di pinte.

Come sempre capita nell’attesa d’un concerto in location pub, capitò anche all’O'Deas di vedere i musici transitare tra (sop)palco e camerini, che nel caso erano siti accanto alle toilettes, dietro un di quei portoni colla maniglia antipanico, apribile (come appresi in seguito) soltanto dall’interno del locale.
Transitò pure il Chris, che giustamente non mi riconobbe, essendo stata l’intervista soltanto telefonica.
La sottoscritta, priva dei panni tattici di Scribacchina e un poco titubante, ben se ne guardò dal qualificarsi.

Saran state le diec’emmezza: notai i giovini musici sparire dietro il portone con maniglione antipanico di cui sopra.
Il portone si richiuse ermeticamente alle loro spalle.
Passarono dieci minuti nella più totale tranquillità: soliti schiamazzi da pub, solite chiacchiere, solite risate. 
Salvo un flebile rumore proveniente dal portone antipanicato.
Non vi feci caso.
Aguzzai le orecchie quando il flebile rumore divenne rumore poco più sostenuto; chiesi conferma agl’amici, che con sguardo dubbioso mentalmente si chiesero se la Scribacchina fosse in vena d’apparizioni mistiche o, semplicemente, avesse bisogno d’una visita all’Amplifon.

Ignorai dunque il rumore misterioso.
Non potetti però ignorare le leggere scosse che in seguito percorsero il portone di cui sopra.
I giovini musici erano ormai assenti da più di mezz’ora, avrebbero dovuto iniziare a suonare già da un po’.

Rumore+scosse+ritardo.
Mumble mumble mumble.

Con scatto felino, Scribacchina s’alzò, s’avvicinò al portone e spinse il maniglione antipanico.
Come l’apparizione d’una Madonna, vennero alla luce i Too Rude al completo, i visi stravolti dal terrore, evidentemente compenetrati delle parole del buon Dante: «Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate».
Con veloci
«thanks», «my god» ed altre parolette che non mi par il caso di riferire, i giovini ringraziarono salvatrice Scribacchina e si precipitarono sugl’istrumenti, pronti per la performance.
Ignari di chi fosse la sottoscritta, pure il Chris.
Che, tra un giro di basso e l’altro, dedicò un brano a
«that girl who saved our lives».

Reputai non fosse il caso di palesarmi.
Me ne uscii dal locale cogli amici a fine concerto, ripensando con un sorriso ai subdoli pericoli nascosti dietro un maniglione antipanico.


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