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Top (20)13

Creato il 24 febbraio 2014 da Eda

Le regole sono le solite, nella classifica troverete solo film usciti regolarmente nelle sale italiane nell’anno solare 2013. Per quanto riguarda i film orientali, sono considerati tutti quelli usciti nel 2013 o visti nei festival nel corso dell’anno (per questo troverete anche pellicole del 2012). Ho tolto la classifica dei film italiani perché fare una top ten su un campione di una dozzina di film mi sembrava poco professionale, i più belli li troverete comunque in quella generale.

Doveroso come sempre ricordare quei film che per un motivo (scarsa distribuzione) o per l’altro (pigrizia) non sono riuscito a vedere, ma che avrebbero potuto trovare posto in classifica e che mi prefiggo di recuperare: La vita di Adele, Lincoln, The Act of Killing, In Another Country, Qualcosa nell’aria, Lo sconosciuto del lago

1. La grande bellezza di Paolo Sorrentino (Italia/Francia)

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Il capolavoro (non il primo) di Paolo Sorrentino che trova ancora una volta in un eccezionale Toni Servillo il suo alter ego perfetto, per un racconto potentissimo, ondivago e frammentario, dagli echi felliniani spiccati. Con una regia virtuosistica e quasi barocca il regista partenopeo firma infatti il suo 8 e mezzo, aggiornando il discorso sulla crisi artistica e esistenziale ai tempi del vuoto pneumatico dei festini e del bunga bunga.

2. Django Unchained di Quentin Tarantino (Usa)

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Dopo Bastardi senza gloria, Tarantino riscrive la storia un’altra volta, per quello che più che un omaggio allo spaghetti western (solo nominale) è una rutilante avventura che mischia nel solito calderone tarantiniano il revenge movie ai miti nordici. Una prima parte che riesce a essere una riflessione intelligente sullo schiavismo e la seconda che diventa un tesissimo e spassoso dramma da camera sorretto da un sontuoso Di Caprio. Forse una gradino sotto il suo lavoro precedente, con qualche lungaggine di troppo e alcune scelte gratuite, ma Tarantino rimane il solito straordinario rimasticatore di generi e influenze, in grado di dar vita a un universo filmico unico nonostante i ventennali tentativi di imitazione.

3 – Gravity di Alfonso Cuaron (Usa/Gran Bretagna)

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Nessuno era riuscito a immergere lo spettatore in una esperienza visiva e sensoriale così potente come nel dramma spaziale di Cuaron. 3D ai suoi massimi livelli e storia ad alto tasso simbolico per una Sandra Bullock che ci mette anima e corpo. Due ore serratissime di pura claustrofobia e sincero senso di stupore. Qualche inverosimiglianza e una sottotrama drammatica debole non tolgono poi molto a quello che è già un classico del genere.

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4 – Spring Breakers di Harmony Korine (Usa) – Il film più provocatorio dell’anno e anche uno dei più difficili di cui parlare. Korine adotta una geniale scelta di casting e abbraccia senza apparenti rimorsi l’estetica videoclippara e i simboli adolescenziali, incarnati dal personaggio di James Franco (protagonista di uno dei migliori monologhi della stagione), per un ritratto generazionale iperrealista . Scena cult da consegnare agli annali: Everytime di Briney Spears suonata al pianoforte da Franco mentre le quattro protagoniste ballano con il passamontagna rosa fluo imbracciando Kalashnikov.

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5 – Amore Carne di Pippo Delbono (Italia/Svizzera) – Pippo Delbono è uno dei più apprezzati autori e interpreti teatrali italiani…ma gli italiani non lo sanno. Da una decina d’anni porta avanti una sua personalissima ricerca cinematografica, fatta di tecnologia rigorosamente low budget (qui gira con il telefonino) in una sorta di docu-fiction nella quale si mette completamente a nudo di fronte alla telecamera. Pervaso dall’aleggiare costante della Morte, Amore Carne è una lirica e commovente riflessione sulla Vita.

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6 – Venere in pelliccia di Roman Polanski (Francia/Polonia) – La fascinazione per un cinema di impostazione teatrale ha radici lontane per Polanski, ma mai erano scoperte come in questo caso. Non è un problema, perché come nel precedente Carnage, l’aria che si respira è quella di puro Cinema. La classe registica dell’autore polacco rimane cristallina anche a 80 anni con un testo intelligentissimo, un gioco di ruoli e di maschere sorprendente e due attori in stato di grazia.

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7 – Looper di Rian Johnson (Usa) – Uno dei migliori film di fantascienza degli ultimi anni che gioca con i paradossi temporali  partendo da una premessa intrigante. Bruce Willis sembra tornare a impersonare il suo personaggio da L’esercito delle 12 scimmie e rende esplicito l’omaggio ai film di serie B, richiamati nelle ottime sequenze d’azione. Peccato per la svolta “sovrannaturale” della seconda parte che stona un po’ con il resto, ma la parabola di Joseph Gordon-Lewitt è di quelle che appassiona e pone intricati dilemmi morali, tipici della fantascienza “impegnata”.

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8 – Il tocco del peccato di Jia Zhang-ke (Cina/Giappone) – Il tono naturalistico di Still Life rimane inalterato, così come la struttura episodica, gli intrecci narrativi e un affetto “distaccato” per i suoi personaggi. Quello che Jia aggiunge, qui in forma esplicita (soprattutto nel primo episodio), è la violenza che scaturisce dalla perdita d’umanità in storie ambientate in un paesaggio rurale o periferico, dove il capitalismo “alla cinese” sembra aver spazzato via qualsiasi senso di solidarietà in cambio di un’illusoria forma di modernità, fatta di palazzoni grigi e club kitsch. Splendida Tao Zhao.

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9 – Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow (Usa) – Rigorosa e maschiaccia come la sua splendida protagonista Jessica Chastain, la Bigelow realizza uno dei più importanti film sulla guerra in Afghanistan. L’approccio è realistico e quasi da entomologa, interessata com’è a scavare nella psicologia del personaggio principale più che a mostrare la guerra, anche se la sequenza dell’operazione finale ripaga di tutta la stasi precedente ed è da antologia. Riflessione stratificata e lontana da facili polarizzazioni sull’America e la “guerra al terrore”, è uno dei più straordinari ritratti femminili degli ultimi anni.

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10 – Sacro GRA di Gianfranco Rosi (Italia) – Dopo vent’anni un film italiano vince il Leone d’oro. Questo film, tra l’altro, è un documentario. Le due cose sono già importanti di per se. Rosi non racconta Roma, non racconta il GRA, ma lo utilizza come pretesto, come collante per raccontare una serie di vite “periferiche”, tutte ai margini (del GRA, della società) e variamente sconnesse dalla realtà. Interessante riflessione sulla natura stessa del documentario e sulla sua componente inevitabilmente fiction.

11 – Holy Motors di Leon Carax (Francia/Germania) – Il commento migliore sarebbe: WTF!?!? In realtà quella di Carax è una chirurgica e sistematica decostruzione della realtà e del cinema contemporaneo: le macchine hanno preso il sopravvento e parlano, noi ci limitiamo a impersonare la parte che ci viene affidata di volta in volta. Alcuni “episodi” sono di folgorante genialità (Monsieur Merde), altri di pura bellezza (il motion capture).

12 – The Master di Paul Thomas Anderson (Usa) – L’ultima interpretazione con la quale ricorderemo Phillip Seymour Hoffman sarà questa, il rapporto fra il suo personaggio e quello di Joaquin Phoenix costituisce uno dei legami umani più forti e complessi visti in questa stagione cinematografica. Come spesso in P.T.Anderson, il film emana un fascino potente e misterioso grazie a una narrazione ellittica e non-detti più potenti di mille parole. Leone d’argento e meritata doppia Coppa Volpi ai due protagonisti.

13 – La mafia uccide solo d’estate di Piefrancesco Diliberto (Italia) – Un esordio alla regia non esente da difetti, ma che riesce nell’impresa per niente facile di realizzare una commedia compiuta, nella quale il solito personaggio stralunato di Pif porta tutta la sua ingenua comicità sul grande schermo, riuscendo al tempo stesso a toccare temi altamente drammatici, senza banalizzarli o mancargli di rispetto, per un film che è soprattutto un monito a non dimenticare.

14 – Pacific Rim di Guillermo Del Toro (Usa) – La realizzazione di un sogno – quello di vedere uno scontro tra robottoni e mostri giganti –  che diventa realtà grazie all’estro visionario di Del Toro. Al cinema è tifo da stadio. Certo, si sperava – almeno io – in un contorno un po’ più epico e serioso e non in un aggiornamento di Indipendence Day, ma va bene così. Il film caciarone dell’anno.

15 – Come un tuono di Derek Cianfrance (Usa) – Cianfrance è uno degli ultimi registi a girare cinema “classico”, non ha paura di sporcarsi le mani col melò e di entrare nel cuore pulsante nei sentimenti, dove il rischio dell’eccessiva enfasi è sempre dietro l’angolo. E invece questa sorta di tragedia greca divisa nettamente in tre atti penetra prepotentemente nell’animo dello spettatore, con un ultimo atto che è anche il meno riuscito ma, forse, il più necessario.

16 – Prisoners di Denis Villeneuve (Usa) – Meno potente della sua opera precedente La donna che canta, ma comunque parecchio avanti rispetto alla media dei thriller hollywoodiani. Potrebbe costituire un bel dittico con lo Zodiac di Fincher: stessi ritmi dilatati, stesso Jake Gyllehnaal tormentato (qui in versione detective), stessi dilemmi morali che sconvolgono la vita dei “buoni” e fanno ragionare lo spettatore.

17 – Miss Violence di Alexandros Avranas (Grecia) – Senza Larantimos (Dogtooth) non ci sarebbe stato Avranas e, come per il primo, il sospetto di pretenziosità è alto, ma se questi film vengono dalla Grecia un motivo ci dovrà pur essere. Sicuramente è il film del 2013 che più prende a calci e pugni lo stomaco dello spettatore. Decisamente sconsigliato alle anime candide.

18 – La fine del mondo di Edgar Wright (Gran Bretagna) – Per chiudere la mitica trilogia del cornetto che ha riscritto i termini della parodia di genere intelligente, Wright, Simon & Pegg scelgono la fantascienza anni ’50 che si insinua in una sessione di pub crawling tra vecchi amici. Divertente, a tratti geniale (la “starbuckizzazione” è un termine che uso tutt’ora), vede un cast affiatatissimo prima ragionare sui sogni infranti e l'(im)possibilità di crescere per poi diventare uno sboccatissimo inno ai perdenti, rivendicando con orgoglio tutte le nostre umanissime imperfezioni.

19 – Cloud Atlas dei Fratelli Wachowski & Tom Tykwer (Usa/Ger/Sin/HK) – Altro film imperfetto ma affascinante, smaccatamente popolare ma molto ambizioso nella sua costruzione corale che spazia tra i secoli. Alcuni segmenti posseggono un innegabile fascino visivo come quello futuristico (anche se totalmente derivativo, a partire dal loro Matrix).

20 – Il grande e potente Oz di Sam Raimi (Usa) – C’è poco da fare, adoro Raimi e lo spirito con cui approccia i film. Qui forse il tono tende troppo al fanciullesco, ma la giocosità (e la gioiosità) con la quale il regista di La Casa mette in scena il regno di Oz è contagiosa. Un’avventura pirotecnica che corre veloce tra scenografie ammalianti, nella quale siamo portati per mano da quella splendida faccia da schiaffi di James Franco.

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TOP 10 ORIENTE

1- Si alza il vento (Kaze tachinu) di Miyazaki Hayao (Giappone)

 

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2 - ‘Til Madness do us Part (Feng ai) di Wang Bing (Cina)

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3 - Lethal Hostage (Bian jing feng yun) di Cheng Er (Cina)

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4 – Il tocco del peccato (Tian zhi ding) di Jia Zhang-ke (Cina)
5 – The Last Supper (Wang de Shengyan) di Lu Chuan (Cina)
6- The Kirishima Thing (Kirishima, bukatsu yameru tte yo) di Daihachi Yoshida (Giappone)
7 – Stray Dogs (Jiao you) di Tsai Ming-liang (Taiwan)
8 – Key of Life (Kagi dorobo no mesoddo) di Kenji Uchida (Giappone)
9 – New World (Sin-se-gae) di Park Hoon-jung (Corea del Sud)
10 – Tai Chi Hero di Stephen Fung (Hong Kong)


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