Ecco la mia selezione dei post più belli della scorsa settimana dai Blog Italiani nel Mondo. Come sempre in ordine di uscita:
Un piccolo post in cui l'autrice riflette su quanto lei aspiri ad essere felice della normalità e dei piccoli avvenimenti quotidiani. E di come questo non le riesca per carattere molto facile. Ma si sta impegnando per migliorarsi sempre di più. Non per arrivare alla perfezione, ma alla semplicità. Scrive:
"Io non possiedo il dono della serenità, né quello di costruire la propria normalità in modo stabile. Ma la riconosco, e la apprezzo, e la inseguo. Ci sto provando così tanto, che spero almeno il tentativo valga qualcosa. Che un giorno mia figlia possa almeno pensare 'non ci è riuscita, ma ci ha provato tutta la sua vita e in quel tentativo io ho visto l'amore che aveva per me'."
L'autrice riflette sul fatto che un tempo era più serena nel dimostrare chi era e le sue opinioni mentre crescendo, anziché migliorare in tal senso, ha avuto sempre più paura di mostrarsi davvero. In un mondo fatto più di critiche che di complimenti per gli altri, vuole provare ad essere di nuovo fiera e consapevole di quello che è, aspetti negativi inclusi. Scrive:
"Viviamo in un mondo fatto di persone pronte a puntarti il dito contro invece di farti un complimento per qualcosa che hai detto o fatto. E' più facile criticare quello che non capiamo, quello che non accettiamo o quello che vorremmo capitasse a noi, non a qualcuno che conosciamo, invece di accettare il confronto e gioire delle "vittorie" altrui. E' sempre più difficile riuscire ad affermare i propri difetti come umani e a indossarli senza provare a renderli qualcosa di diverso."
L'autrice riflette sul fatto che sua figlia ha una predisposizione alla gentilezza e, a volte, le fa notare che lei o il papà hanno usato un tono troppo rude senza accorgersene. Si chiede allora perché invece intorno a sé di gentilezza ce n'è sempre meno. Scrive:
"Viviamo in una realtà dove la gentilezza sembra un accessorio, dove pronunciare semplici parole come "grazie", "per piacere" o "prego" è fatica, dove salutare costa impegno e regalare un sorriso a qualcuno è uno sforzo che non vale la pena di fare se non è ripagato da qualcosa di materiale. Mi chiedo spesso: "perché da piccoli riteniamo la gentilezza una cosa fondamentale e da grandi non ci interessa più? Cos'è cambiato in noi?""
Dopo aver avuto la conferma che dentro di lei c'è vita, l'autrice continua con il suo sali e scendi fra speranza e paura che anche questa volta finisca male. Il bisogno impellente di un'altra ecografia, di cui non ci sarebbe necessità, a confermarle che il cuore di suo figlio ancora batte ed è tutto a posto. Sente così di aver ricevuto una lezione da lui. Scrive:
"Mi ha dato uno schiaffo morale, gridandomi di fidarmi di lui, di accompagnarlo nella sua crescita. Stamani ho smesso di credere in lui e poche ore dopo, con il pulsare della sua vita, lui mi ha incoraggiato a non farlo più. Mi ha fatto capire di non lasciarlo solo mai, che non importa solo dove arriveremo insieme ma anche in che modo lo faremo. "
Un post emozionante di una figlia che sta attendendo l'arrivo della madre che, nonostante la non più giovane età, sta attraversando ancora una volta il mondo per andare a trovarla in Australia. Scrive:
"E ti domandi fino a quando tutto ciò sarà possibile. Fino a quando potrai fare con tuo figlio il "countdown" dei giorni che mancano fino al giorno in cui la rivedrai, la rivedremo, qui, in terra Australiana.
E ti chiedi se tutto ciò è giusto, corretto... Un genitore che insegue la figlia in giro per il Mondo..."
L'autrice ci racconta per quale motivo è partita per l'estero. Non per un lavoro o per seguire qualcuno, ma perché cercava risposte che le mancavano da sempre. Ha scelto l'Africa, ma ha capito che forse non é il paese che quelle risposte può dargliele. Scrive:
"Io non sono partita perché non avevo un lavoro, ma perché volevo una vita diversa, sono partita perché volevo trovare me stessa, l'Anna più vera, perché dentro di me avevo tante domande che cercavano risposta, perché volevo sbrogliare la matassa delle mie sofferenze e dare uno scopo alla mia esistenza."
L'autrice riflette, soprattutto da mamma, sulla condizione dell'expat che dopo anni all'estero non si sente più del tutto appartenente al proprio paese d'origine, ma nemmeno ancora calato del tutto nella nuova patria d'adozione. Si chiede, soprattutto, se sia giusto esporre il proprio bimbo a questo dualismo culturale e a questa perenne sensazione di essere con un piede da una parte e uno dall'altra. Scrive:
"Il problema principale, a detta di tutti coloro che per periodi più o meno lunghi si sono trovati a vivere all'estero, è che ad un certo punto si comincia ad essere consapevoli di non sentirsi più completamente appartenenti al proprio Paese d'origine, così come di non sentirsi mai al 100% figli di quello ospitante: decenni di vita altrove sono davvero troppi perché si possa ripartire da zero e "rinascere" diversi per storia, cultura, lingua, abitudini. Ragionevolmente neppure lo vorremmo. Ma essere "né carne, né pesce", degli strani "ibridi", magari un po' incompresi da entrambe le parti, ha certamente un prezzo. E non sono sempre così sicura di volere che lo debba pagare anche un bambino di cinque anni.
La figlia piccola dell'autrice, pur avendo solo 4 anni e mezzo, per il sistema scolastico inglese è pronta per la primary, corrispettiva della prima elementare italiana e lei, come madre, non si sente forse del tutto pronta a considerarla già così grande. Pur capendo che è giusto così e che il regalo più grande che puoi farle è esserci sempre, ma lasciarla crescere. Scrive:
"Essere genitore fa tremare le gambe.
Se solo riusciro' a permetterle di crescere senza che lei senta che dentro di me vorrei rimanesse sempre la mia bimba di 3 anni che e' ora...
Se solo riusciro' a guardarla diventare bambina e poi ragazza e poi donna standole a fianco, ma lasciandola libera di sperimentare la vita..."
Per l'autore é giunto il tempo di chiudere il blog e lo fa con un post breve, ma molto significativo di quello che é stato per lui scrivere per un pubblico. Credo sia un articolo in cui tutti noi che scriviamo un blog possano ritrovarsi perché simili sono i meccanismi che ci spingono a farlo. Scrive:
"Soprattutto ho imparato a capire chi è Alf ad Amsterdam e che ci faccio qui.
Perchè di base me la cantavo e me la suonavo, solo che ogni menestrello ha bisogno di un pubblico che sia il suo specchio, per vedersi da fuori, anche se parla a sè stesso."
Per la giovane autrice ricorre il primo anno in Danimarca dove si è trasferita con la propria famiglia ed è tempo di riflessioni su come si sente nel suo nuovo paese. In particolare su quegli inevitabili "giorni no" a cui è difficile dare una spiegazione. Scrive:
"Qui mi manca quel senso di appartenenza, quindi quando provo quelle emozioni è difficile dirsi "è così, che ci vuoi fare", non sento di appartenere a questo posto, quando mi guardo intorno continuo a sentirmi un'aliena, quindi nei giorni no è la voglia di scappare via che prevale."
Per oggi ho finito, buona lettura!