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Tora tora tora: attacco a pearl harbor

Creato il 07 dicembre 2012 da Postpopuli @PostPopuli

di Emiliano Morozzi

“Tora tora tora”: con queste tre parole alle ore 7.53 del 7 dicembre 1941 i giapponesi cominciano l’attacco a Pearl Harbor. Il segnale, lanciato dal capitano di fregata Mistuo Fuchida, a capo della prima ondata di bombardieri, viene ritrasmesso subito in Giappone: le forze nemiche sono state colte di sorpresa e sulla base navale Usa si sta per scatenare l’inferno. È l’inizio di una giornata che gli Stati Uniti definiranno “il giorno dell’infamia“, un attacco a sorpresa che arrivò senza dichiarazione di guerra, che causò ingenti perdite alla marina statunitense e permise alle forze giapponesi di lanciare indisturbata una serie di assalti aeronavali contro obiettivi chiave nel Pacifico e nel Sudest asiatico. In realtà i giapponesi, per salvare almeno la forma agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, avrebbero voluto consegnare la dichiarazione di guerra e attaccare mezz’ora dopo, ma l’atto arrivò in mani nemiche quando ormai le bombe e i siluri giapponesi piovevano sulla base americana.

Al successo dell’operazione contribuì certo l’effetto sorpresa, ma anche una meticolosa preparazione da parte dei giapponesi: le due squadre navali agli ordini dell’ammiraglio Nagumo e sotto la supervisione dell’ideatore del piano, l’ammiraglio Yamamoto, partirono dalle Curili e arrivarono alle Hawaii da nord, seguendo una rotta poco frequentata dalle navi mercantili e non pattugliata dai ricognitori nemici. Anche la data non fu scelta a caso: il 7 dicembre cadeva di Domenica, giorno di festa, e i giapponesi sapevano grazie alle loro spie che i marinai durante quei giorni scendevano a terra in licenza.

TORA TORA TORA: ATTACCO A PEARL HARBOR

La corazzata West Virginia in fiamme 

Mentre le navi da battaglia del Sol Levante erano già in viaggio verso Pearl Harbor, arrivò la notizia che le portaerei della flotta Usa del Pacifico non erano in rada, ma questo non scoraggiò i giapponesi dall’attaccare: alle otto del mattino, le bombe cominciarono a cadere sulla base navale scatenando il panico fra i marinai. Mentre i bombardieri giapponesi distruggevano i caccia nemici, facili bersagli allineati lungo le piste di decollo, gli aerosiluranti si lanciavano contro le corazzate statunitensi, affondandone tre (l’Arizona, la Oklahoma e la vecchia Utah) e danneggiando gravemente le altre. La prima ondata colse le forze degli Stati Uniti completamente impreparate: le navi provarono ad organizzare un fuoco di contraerea abbattendo cinque velivoli nemici, ma i siluri e le bombe colpirono con precisione devastando i ponti e gli scafi delle imbarcazioni americane. Vi fu soltanto una breve pausa tra la prima e la seconda ondata di attaccanti, ma quando arrivarono i bombardieri agli ordini di Shimazaki, i marinai americani avevano organizzato la difesa contraerea e i giapponesi persero un maggior numero di velivoli, ma infierirono sulle navi statunitensi e poi martellarono le basi aeree dell’isola. Era prevista una terza ondata di bombardamento, che avrebbe dovuto colpire i depositi di carburante e le attrezzature portuali, ma Nagumo decise che l’operazione era stata un successo e poteva considerarsi conclusa: da un lato temeva la reazione dei caccia e dei bombardieri americani superstiti contro le sue portaerei, dall’altro temeva di subire troppe perdite, adesso che gli americani erano in allerta e avevano organizzato le difese contraeree dell’isola.

L’attacco mise momentaneamente fuori gioco la flotta americana nel Pacifico ed ebbe una risonanza enorme sui giornali dell’epoca, ma quella che per i giapponesi doveva essere una vittoria decisiva, si rivelò soltanto un successo parziale: le portaerei Usa, il principale obiettivo dei giapponesi, si salvarono dall’attacco, i depositi di carburante della base e le strutture di riparazione delle navi rimasero illese. Per qualche mese però le forze aeronavali nipponiche poterono dominare incontrastate nel Pacifico: i giapponesi conquistarono Singapore, le isole statunitensi di Wake e Guam, l’arcipelago indonesiano e arrivarono a minacciare direttamente l’Australia (le portaerei che bombardarono Darwin, la Akagi, la Kaga, la Hiryu e la Soryu, erano le stesse dell’attacco di Pearl Harbor). A quel punto, conquistato il petrolio indonesiano e annientate le flotte alleate a Singapore (affondamento della corazzata Prince of Wales e dell’incrociatore Repulse) e nel mare di Giava, dove la squadra navale alleata fu completamente distrutta, non restava che dare il colpo di grazia alla marina degli Stati Uniti, invadendo l’isola di Midway e affondando le portaerei americane sopravvissute. Quello che nei piani strategici del Sol Levante doveva essere lo scontro decisivo della vittoria, si tramutò in una catastrofica sconfitta, nella quale, in un sol colpo, i giapponesi persero tutte e quattro le portaerei. Ma questa è un’altra storia, e la racconteremo un’altra volta.


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