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Nothing Bad Can Happen sfrutta il realismo e si mantiene sempre ancorato a quel “true story” che sfuma durante i titoli di apertura, e la sua è una crudezza ansiosa e dolorante, è un creare forte malessere perché, in maniera più o meno esponenziale, e chiaramente in termini differenti e meno spigolosi, la feroce superbia che Benno rigurgita su Tore è forse faccenda, se vogliamo, anche di tutti i giorni, dove il più forte non solo vince sul più debole ma lo prende a calci mentre è per terra e gli dà fuoco quando sputa sangue. Benno è odio purissimo, un odio che però non ha alcuna scintilla se non quella di trovare un muro fragile contro cui scagliarsi, per sgretolarlo, frantumarlo, distruggerlo: se Tore rappresenta l’innocenza, la bontà immacolata del tutto vergine dei modi in cui possa funzionare e pensare l’essere umano, è modello ideale, nei suoi modi dolci e candidi, per la rabbia di un uomo che all’improvviso pare annullare tutto, persino se stesso, per dare sfogo a un’ostilità, a un disprezzo fatto di cazzotti fulminei, di offese verbali, di deprivazione e allontanamento, per poi passare a maniere ben più pesanti e in scene parecchio indigeribili come quella del lungo digiuno al quale segue un pollo farcito di vermi e larve fatto ingurgitare a forza.Ciò che più disturba non appartiene però ai vari modi con cui Benno disintegra Tore, non si tratta mai di torture vere e proprie che possano avvicinare il film a un qualche tipo di torture porn per quanto il sottogenere sia il più vicino e il più facilmente accostabile, e a dirla tutta di sangue ce n’è ben poco, è bensì il modo, sottile e inespresso, con cui plagia la sua famiglia, o con cui la sua famiglia diventa estensione della sua malvagità, che fa realmente male. Il bambino che orina dove Tore dorme o la moglie che gli cammina con i tacchi sull’inguine sono momenti terribili, tra i tanti, che anche se spesso vengono addirittura accantonati in fuori campo, non perdendo comunque una briciola di brutalità, dispensano una crudeltà senza motivazione, priva di stimoli se non la crudeltà stessa – è qualcosa di allucinante, è un sopruso che lascia basiti, fatto solo per immagini e che non può trovare parole adeguate.
Che Tore sia un ragazzino senza famiglia, un mezzo vagabondo facente parte di un movimento punk cristiano, è faccenda si può anche dire secondaria, non ci sono di mezzo richiami religiosi, questioni morali e qualsiasi tipo di banale riflessione sulla fede, il suo stato sociale è ahimè frutto di un’emarginazione gravissima che l’ha lasciato totalmente privo di personalità, e questo è quanto. Il resto è solo un dolore lunghissimo diretto con mano femminile ed esordiente ma già matura, attenta, sicura e molto equilibrata, con squarci musicali fatti di nenie elettroniche utili ad amplificare, se ce ne fosse ancora bisogna, la triste sorte di un adolescente la cui unica colpa era quella di essere un ragazzo buono.
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