Caníbal, regia di Manuel Martin Cuenca. Con Antonio de la Torre, Olimpia Melinte. Sezione After Hours.
Mi aspettavo qualcosa di simile a The Green Inferno, con assatanate tribù antropofaghe a caccia di vittime succulente. Invece questo film spagnolo racconta non senza eleganza un caso clinico, quello del rispettabile Carlos che ha il vizio di uccidere e mangiare le donne che gli fan perdere la testa. Un film dai molti echi buñueliani. Purtroppo abbastanza esangue e non così avvincente. Voto tra il 5 e il 6
Avendo appena visto al Roma Festival The Green Inferno di Eli Roth, mi aspettavo da questo film – da un film con un titolo così – un qualcosa di simile, con il solito gruppo disgraziatissimo di giovanotti e giovanotte caduto nelle mani di antropofogi, e truculentissime scene gnam gnam a ripetizione. Macché, questo Caníbal è invece una produzione spagnola assai fine ed elegante, un caso clinico di psicopatologia sessuale molto nella tradizione surreal-anarcoide iberica alla Buñuel, e anche alla Ferreri-Azcona. Però, nonostante crudezze e crudeltà, Caníbal risulta alquanto smorto ed esangue, che per un film con cannibali non è proprio il massimo. Che poi qui di cannibale ce n’è uno solo, si chiama Carlos, è un signore assai distinto di Granada che di mestiere fa il sarto in una bella bottega d’epoca, sopravvissuto non si sa come al rullo compressore del prêt-à-porter. Molto stimato da vicini, clienti, autorità e, se abbiamo capito bene, anche dai maggiorenti della chiesa locale che l’hanno cooptato nella più prestigiosa confraternita. Lui però ha quel dannato vizio. Quando incontra una donna che gli piace la uccide, la fa a pezzi e poi se la cucina. E le scene in cui lui, compitisimo, si mette a tavola degustando il suo filetto (al sangue), non facendosi mancare nemmeno del buon vino rosso, sono nella loro pacata surrealtà-assurdità le migliori del film. Tutto comincia a incasinarsi quando arriva ad abitare al piano di sopra una ragazza rumena di professione massaggiatrice: è subito attrazione, e dunque anche lei finirà a pezzettini in frigorifero. Solo che la storia stavolta non si chiude, tutta colpa della sorella di lei, somigliantissima (difatti è la stessa attrice ad interpretarla) che vuole a ogni costo ritrovare la scomparsa. Finirà che Carlos si innamorerà di lei, come mai gli era capitato. Con conseguenze fatali. Controllatissimo, perfino austero, il film ci tiene a non farsi confondere con i B movies e a presentarsi come opera rispettabile, più d’autore che di genere. I clin-d’oeils a Buñuel sono più d’uno: le due sorelle rimandano alle due donne che son poi la stessa donna di Quell’oscuro oggetto del desiderio, e il malizioso inserimento nel film della scena della transustanziazione eucaristica, con il prete che alzando l’ostia dice “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo”, sarebbe assai piaciuto al sempre polemico verso madre chiesa Don Luis. Solo che Caníbal, cercando la rispettabilità autoriale, finisce con l’essere poco avvincente, anche perché il mistero è presto svelato e da un certo punto in poi tutto procede nella massima prevedibilità. Menzione per l’ottimo protagonista Antonio de la Torre.
Magazine Cinema
Torino Film Festival: CANÍBAL (recensione). L’uomo che amava mangiare le donne
Creato il 27 novembre 2013 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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