Magazine Diario personale

Tormentati dal cabarettista

Creato il 21 luglio 2011 da Nonchiamatemiborgia @nonsonoBorgia
La persecuzione della banale comicità d’ufficioSe si chiamano tormentoni ci sarà un motivo. Inizialmente li trovi divertenti e carini, piacevoli e spassosi. Poi c’è quel momento di svolta in cui ciò che ti faceva ridere diventa qualcosa di fastidioso, un tarlo insopportabile che ti scava in testa: è dovunque e lo senti continuamente. Un tormento, infatti.Fino a quando è la televisione o la radio, purtroppo tu non puoi fare molto per disfartene, a parte cambiare continuamente canale in maniera quasi convulsa. No, non puoi fare niente. Ma se il tormentone sta di fronte alla tua scrivania, allora la cosa diventa più problematica e diversamente risolvibile. È quel tipo che ripete senza sosta sempre le solite tre frasi: siano esse imitazioni di colleghi, deformazioni linguistiche o canzoni rivisitate, sono comunque dei tormentoni.Lui, convinto che siano ancora divertenti. Tu, sull’orlo di una crisi di nervi. Tu non ridi e speri che il fatto che nessuno consideri il signor Tarlo in testa sia un espediente perché lui la smetta. Ma lui non lo fa. Poi, ogni tanto, c’è sempre l’altro collega che per pietà, o perché non ha ancora assorbito completamente il tormentone, si mette a ridere, come se fosse la prima volta che sente quella battuta. E così, il lavoro di sei mesi contro l’autostima del signor Tarlo in testa viene spazzato via da quella risata non necessaria.Quando si parla di tormentoni, di norma, ci si riferisce a quelle canzoni che ti piazzano nelle pubblicità della Vodafone, trasmessa 83mila volte al giorno pur di ficcarti in testa il messaggio promozionale. Ma ci si dimentica che c’è quel tipo che, una volta, ha fatto fortuna con una battuta semistupida, uno sketch che, magari, ha fatto ridere la ragazza che gli piaceva. E allora lui decide di ripeterla, sperando di riottenere lo stesso successo.Eccolo lì, di fronte a te. Cerca di portare ilarità in ufficio con la storia dell’urina. Di nuovo. Che poi non ha mai fatto ridere. Ti guarda cercando uno sguardo di approvazione ma tu, ormai stufo, continui a far finta di scrivere sul computer. Lui aspetta ancora un attimo, sperando che qualcun altro, dall’altra parte della stanza, gli dia un segnale di consenso per la sua bella trovata, anzi ri-trovata. Niente. Tu sei convinto che sia definitivamente finita, quando il suo vicino si risveglia dal coma e ripete come un pappagallo quella maledetta battuta.Gente che ride e, allora, ti chiedi se magari sei tu quella che non capisce il lato cabarettistico del signor Tarlo in testa. Poi però pensi che la comicità è un po’ come una biro: si esaurisce in fretta, specialmente se la usi spesso.

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