Ho ascoltato tutto d’un fiato il nuovo lavoro di Gianluca Grignani, dal titolo programmatico “A volte esagero”. Dopo tutto il gran battage pubblicitario, non solo fatto di musica ma, suo malgrado, anche di altro, in molti attendevano al varco la sua nuova opera, salutata dal Nostro come un ritorno a certe sonorità più ruvide, rock, da alcuni vicini al suo entourage, addirittura capaci di farci riandare alla memoria di album passati alla storia come “La Fabbrica di plastica” e “Campi di popcorn”. Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci: siamo comunque lontani da quel tipo di urgenza comunicativa, di sfogo puro in musica, di atto di ribellione, ma non mancano certo le sorprese in questo disco. Non che il Grigna, di album in album, non sappia spiazzare i suoi ascoltatori e la critica specializzata, visto che non è certo tipo che ama adagiarsi sui successi, su determinati standard. Una mosca bianca del panorama nazionale, con un’anima rock ‘n roll, più per attitudine forse che per reale inclinazione in fase di scrittura, laddove spesso prevalgono o emergono altri contesti, diverse istanze. Il singolo apripista “Non voglio essere un fenomeno” alla fine ha centrato l’obiettivo. Non pareva prettamenparte commerciale come episodio, invece ha conquistato pubblico e radio, grazie a un testo efficace, nonostante la rima “sacrificio/dentifricio” potesse indurre più d’uno a lasciar perdere. E sarebbe stato un peccato perché la canzone offre tanti spunti interessanti di riflessione.
Tutto il disco è pervaso da un’atmosfera, non dico di tristezza, dacchè invece fanno capolino parole aspre e suoni forti, densi, pieni, “rock” nella più ampia concezione del termine, ma almeno di amara constatazione della realtà che ci circonda. La mia preferita, a un primo impatto, è proprio quella che intitola l’intera raccolta. “A volte esagero” è paradigmatica sin da titolo ma parla di tutti noi, della vita. Due canzoni possono emergere a livello puramente emozionale, perché scritte col cuore, e la cosa traspare in modo evidente: “L’amore che non sai” è una genuina, appassionata e sincera ode alla moglie Francesca; “Madre” invece rivolge parole bellissime, commoventi alla figura materna. E ci può pure scappare la lacrima, quando Gianluca – che scrisse questo pezzo 20 anni fa, e in un primo momento pareva potesse inserirlo addirittura nell’album di debutto – declama il verso che si sente perso nell’universo senza un padre.
Il tema è fortemente autobiografico, Gianluca, la sorella e la madre furono in effetti “abbandonati” dal padre, come si evince anche dal suo libro ma il tema era sin troppo personale forse per darlo in pasto sin dai tempi di “Destinazione Paradiso”. Un recupero importante, la canzone vale davvero. “Fuori dai guai” e “Il mostro” hanno in effetti sonorità che Grignani non ci faceva sentire da molto tempo: qui gli echi della “Fabbrica” sono evidenti, specie nell’intro della prima, una dichiarazione quasi in tempo reale dei fatti occorsi quest’estate e sui quali si è tanto speculato. “Il mostro” come più volte da lui raccontato è ispirato alla storia vera di una sua amica. Altri episodi si elevano, come l’incalzante “Maryanne” e “Rivoluzione serena” che nei suoi intenti sembra voler essere il manifesto del disco. Un bel disco, lo voglio sottolineare un’ultima volta, in un mercato italiano sempre più asfittico e dove le idee, specialmente da parte di artisti giunti a certi livelli, spesso latitano. Non è il caso di Gianluca, uno che la musica l’avverte proprio come una vera necessità, un modo per esprimersi come meglio non saprebbe fare. E anche dal punto di vista compositivo e musicale, ogni suo disco rappresenta sempre una scoperta.