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torneranno i prati lì dove la neve si ammucchia furiosa
tornerà a crescere l'erba, ancora più verde, nella terra arida che accoglie con il suo calore un manipolo di soldati
tornerà la quiete nelle montagne, lì dove le bombe continuano ad esplodere furiose, lì dove la notte, anche la più calma anche la più chiara, rimane guardinga
tornerà del colore dell'oro quel larice che ora brucia, che le fiamme ardono e distruggono
la luna stessa, così mite e maestosa, tornerà a splendere sull'innocenza e la pace, laddove ora è complice del nemico, mostrando con la sua luce le ombre del pericolo, mettendo in pericolo
torneranno i prati, più belli perchè più ricchi, con la neve e le ceneri a fargli da concime, con le vite e i corpi abbandonati su di essi, a loro regalati
tornerà la pace, forse
la normalità, quella no, non tornerà per quei giovani chiamati alle armi, per quei giovani mandati allo sbaraglio nel freddo e nella neve, tra le montagne, a sorvegliare un nemico così vicino
come può tornare se la normalità non c'è nemmeno ora, nemmeno ora che chi se ne sta al caldo nel tranquillo ordina ordini suicidi, mandando a morte sicura e certa?
La normalità non può tornare e non può esserci, ma può essere raccontata.
Può essere con estrema semplicità messaci davanti agli occhi, senza bisogno di effetti speciali, senza grandi location e giri per il mondo, senza troppi trucchi, senza inganni.
Perchè la guerra era questo, era normalità, normalità nel dormire sotto la terra in cui poi si veniva seppelliti, stretti in trincee dove il calore faticava a stiparsi, dove il rancio e la posta a fatica arrivavano, dove i gradi, dove gli ordini, contano più degli ideali e della morale, del diritto alla vita.
Ermanno Olmi ci immerge totalmente nella vita di trincea, ci fa respirare il puzzo della guerra, ci fa percepire il freddo, i brividi, la paura.
E lo fa con la poesia.
Lo fa con immagini che incantano, anche nella durezza, con la natura che contempla l'uomo, che scorre placida al suo fianco, che sia una volpe con le sue abitudini, una lepre coraggiosa, o un albero che in sogno si ricopre d'oro, o la luna, che silenziosa fa da guardia, fa da spia.
Ma questa poesia sta nella terra, appunto, sta sotto di essa, e si interrompe, viene bruscamente colpita da bombe, da squarci e da spari.
Dalla morte.
Quello che Olmi ci mostra, nell'anno in cui ricorrono i 100 anni dallo scoppio di quella I Guerra Mondiale, è la guerra nel suo compiersi, nel suo essere insensata, nel suo essere fatta da uomini qualunque, da padri, da figli, da mariti, usati come marionette senza valore, mandati a vivere o a morire seguendo carte e cartine.
Il nemico non si vede, si sente solo, ma lo si immagina nella stessa situazione, nello stesso freddo e nella stessa paura, lì dove basta una canzone cantata con il cuore a sciogliere entrambi.
Le parole che sentiamo sono esse stesse normali, prese da lettere, da riflessioni e riportateci in un impianto quasi teatrale con tutta la loro forza, per essere ascoltate, per non essere dimenticate.
Perchè è sempre più facile chiudere gli occhi e non sentire, e sempre più difficile trovare chi abbia voglia di parlare, chi ne sappia parlare, chi lo abbia vissuto.
E allora torneranno i parti si fa necessario, con i suoi difetti, con la sua brevità, per ricordare, perchè di padri, che parlano ai figli della loro vita da soldato, purtroppo non ce ne sono più.
Perchè lì dove il sangue e le bombe infuriavano, l'erba è ricresciuta a ricoprirli.
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