I nonni materni abitavano in periferia, avevano un piccolo orto e il pollaio ad integrazione della dieta. Per un accordo tacito stipulato tra le galline e mia nonna, queste facevano uova facilmente rintracciabili e lei le difendeva dagli istinti del nonno, più incline al brodo che alla frittata. Con molte uova fresche a disposizione in primavera-estate, frittate con verdure e asparagi selvatici, in autunno-inverno le feste erano scandite dalla torta margherita. Ne venivano confezionate a nastro. Se venivano parenti, se si andava a trovare parenti c’era il rito dello scambio della torta margherita, nel senso che chi veniva in visita portava una torta e ad accoglierlo trovava una torta della stessa specie. L’abilità di confezionamento, su cui si incentrava il grosso della comunicazione positiva (perchè poi parlavano di malattie e di morti), era sulla sofficità della torta. Perchè la torta margherita si fa senza lievito eppure è un dolce etereo, incurante della materia da cui proviene, soffice e ardito nella crescita. Chi cuoceva o non sbatteva abbastanza gli albumi forniva torte sciancate, lasciando ad altre prove più felici la dimostrazione dell’abilità. La fame infantile, incurante della forma faceva sparire velocemente il corpo del reato. Eravamo sempre al limite del soffocamento, perchè l’anima eterea toglieva il respiro a quella umana, ingozzando nel conflitto d’anime. Credo abbia soffocato più anziani la torta margherità che i tanto vituperati serial killer. Per la mia bambinitudine la torta è stata inprinting, educazione, rigore, perchè sotto le feste le torte venivano confezionate una o due settimana prima e messe al fresco. Il posto fresco e presidiato della casa erano le camere da letto (solo la cucina si scaldava), per cui dormivo immerso nel profumo di zuccherouovafarina. Il mio cervello è stato cablato con questo profumo, alcune sinapsi margherita, anche adesso, avvertono la presenza della torta a distanza imbarazzante. La pavloviana associazione divieto di consumo-posticipazione del premio è stata devastante nella mia formazione sociale e politica. Per me la torta margherita nella sua casalinghitudine è l’emblema della casa accogliente e disponibile, con pochi mezzi. Per questo propongo che in questo periodo di difficoltà ad arrivare alla terza settimana del mese oltre ai pollai di condominio venga incentivato l’uso della torta margherita: è la speranza della povertà accogliente e sincera, non doma e fidente nell’avvenire. Una lex margherita per propiziare il domani e stasera tutti a vedere che mangiano i bignè.
Ricetta
8 uova, 350 grammi di zucchero, 250 grammi di farina fecola
separare albumi dai tuorli e montare a neve gli albumi:deve restare ritta la forchetta ( a dimostrazione che solo con fatica si raggiungono i risultati) I tuorli vanno sbattuti con lo zucchero fino a scolorare dall’arancio verso il giallo, si unisce la fecola e infine gli albumi.
Il tutto in una tortiera imburrata e prima cosparsa di pan grattato.
infornare a 190 gradi in forno caldo e dopo 20 minuti abbassare a 170 gradi. cuocere in tutto 40 minuti. Sorvegliare la bimba in forno sia nel suo crescere e sia nella parte finale: le bruciature pregiudicano lo sforzo precedente.
Lasciare in forno semi aperto e poi cospargere di zucchero a velo. La leggerezza non disdegna compagnie poco alcooliche, sia dolci che secche. Per i bimbi caffelatte. La coca cola è una bestemmia.
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