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Due sorellastre con padri diversi. Hiroko, la maggiore, apparentemente più solida, è impiegata; Mina, la minore, più instabile, fa la truccatrice. Un giorno Mina si presenta a casa di Hiroko per fuggire dal suo fidanzato violento. Inizia un abbozzo di convivenza all'insegna di due tipi di indifferenza: Mina è superficiale e casuale, Hiroko è distaccata e chiusa in se stessa. In realtà Hiroko ha un segreto: a letto, in bagno, al mare, fa l'amore con il busto gonfiabile di un manichino. L'oggetto di desiderio e soddisfazione sessuale è un uomo di gomma senza testa, braccia e gambe: una rappresentazione agghiacciante dell'assenza di amore. In questo microcosmo disumanizzato, reso complicato dal fatto che l'arrivo di Mina disturba le pratiche di Hiroko, emergono gradualmente pezzi della vita delle due donne: traumi, delusioni, devianze, tentativi di normalizzazione falliti. Ma proprio il definirsi del quadro esistenziale e psicologico delle protagoniste, come un'immagine che da sfocata viene progressivamente messa a fuoco, consente loro, parallelamente alla percezione dell'articolazione del contesto narrativo da parte dello spettatore, di trovare la forza per provare a vivere di nuovo. Così come nella descrizione del deserto comunicativo e delle pieghe delle patologie non c'è ombra di compiacimento registico, allo stesso modo l'apertura finale è priva di entusisamo e più ancora di retorica. E' un modo, il meno peggio, per cercare di essere umani.Un'esordio significativo, quello del settantunenne Yamazaki Yutaka. Direttore della fotografia in quasi tutti i film di Koreeda Hirokazu e occasionalmente di altri registi rilevanti (Kawase, Shiota, Tanada), passa per la prima volta alla regia con quest'opera che, più che essere direttamente debitrice verso Koreeda (il riferimento a Kūki ningyō, Air Doll, è scontato), sembra aver metabolizzato la pacatezza oggettivizzata della narrazione delle esistenze. A differenza di Koreeda che, eccettuato Aruitemo aruitemo (Still Walking), ha spesso un tocco extra-reale oppure aggiunge elementi qua e là spunti lirici, Yamazaki è più aderente alle dinamiche quotidiane dei personaggi. Pur senza parlare di realismo, che sappiamo non esistere nel cinema, l'efficacia di questo documentarismo delle pieghe dell'animo è notevole. [Franco Picollo]
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