di Barbara Cucini
Una terra antica quella del Chianti, conosciuta oggi per la prelibatezza dei suoi vini e dell’olio extravergine d’oliva. Meta ambita da turisti facoltosi alla ricerca di bellezza, quiete e pace, in fuga dai ritmi spersonalizzanti della vita moderna, dal fragore delle metropoli, ma ancor più, crediamo, bramosi di vivere una sorta di ritorno a casa, di pancia, verso una terra che conserva ancora la memoria dell’uomo che sapeva vivere in equilibrio fra cielo e terra, tanto tempo fa….
E’ una terra il cui nome pare derivare dall’etrusco Klante, evocativo di una parola per noi molto più familiare: canto. Beh, a noi piace, ci piace pensare al canto della terra, al suo potere, alla sua magia, che i popoli antichi, come gli etruschi appunto, conoscevano perfettamente. Scienziati della divinazione, del destino nascosto nelle stelle, proprio nel Chianti vivevano piccole comunità etrusche, delle quali si è ritrovata traccia negli scavi iniziati, gli ultimi, una trentina di anni fa, e poi abbandonati.
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Siamo a Cetamura, nel comune di Castelnuovo Berardenga, in provincia di Siena, dove si trovano i resti di uno scavo ormai da tempo abbandonato. Un popolo che amava la vita con la V maiuscola, gli etruschi, che amava le donne e ne celebrava l’importanza nei riti, nei canti, nei convivi, in cui esse erano pari agli uomini. Tanto da suscitare lo stupore scandalizzato dei cronisti romani coevi. Che scempiaggine era mai quella? Donne che danzano, bevono, mangiano alla mensa degli uomini e se le danze prendono una piega particolare, beh, partecipano al gioco con buona pace di tutti gli astanti. Echi del sabbah medievale…che ci riporta a noi, alle nostre streghette affascinanti, ma ahimé stigmatizzate di epoche più tarde. Perché anche il Chianti ha qualche rogo da celebrare, con la strega di Castelnuovo, bruciata perché rea di aver fatto ammalare un bambino, o la strega di Guistrigona, sempre nel Comune di Castelnuovo, una delle ultime vittime dei processi per stregoneria. C’è chi sostiene che proprio il toponimo conservi la memoria della strega in una sorta di “Qui stregona”. Ma noi oggi siamo venute qui, in mezzo alle vigne già cariche di grappoli, in compagnia di due sorelle chiantigiane, Anna, la mite e Rossana, la battagliera – ma saranno streghe pure loro? Chi lo sa?! – che per fortuna di storia ce ne raccontano un’altra…
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Perché pare che qui alle streghe sia toccata anche una sorte diversa, la gente pare aver mantenuto vivo il ricordo, e non solo il ricordo, del valore di quelle che Paracelso chiamava le streghe erbarie…merito dell’eredità etrusca? Chi lo sa, di fatto di guaritrici nei secoli ce ne sono state tante e qualcuna, pare, che scaccia i vermi con lo zolfo e la cenere, o col piombo, c’è ancora…Palmira, la strega di Pagliarese, era stimata e venerata da tutti, non c’era male che lei non sapesse curare. Rimetteva a posto ogni squilibrio del corpo e dell’anima, ossa comprese, e pare che Bettino Ricasoli si sia avvalso dei suoi servigi per la moglie che si era fatta male cadendo dal cavallo….Bettino Ricasoli…sapete qui non mancano neanche i fantasmi: è lui di certo lo spettro che si aggira per i boschi di Brolio nelle notti di plenilunio….e rimaniamo a bocca aperta nel sentire che proprio a Cetamura, nello spiazzo erboso che si apre al di là di un’ antica porta in pietra, ai tempi dei bisnonni delle nostre due amiche, una bella signora della zona, nelle notti di luna piena (meglio se la luna piena cadeva di sabato) dava inizio a sfrenate danze dionisiache, al suono di una musica suonata da orchestranti invisibili. Al ballo intervenivano poi bellissime creature venute dall’altro mondo. L’Angelico, così si chiama questa danza, riunisce in sé elementi del tradizionale sabbah delle streghe (il volo notturno) e suggestioni celtiche…
Oh beh, non siamo proprio a Stonhenge, ma per arrivare qui ci è cascato l’occhio su un piccolo fazzoletto di terra rettangolare, proprio in mezzo alla collina davanti a Cetamura: Campi. Ha una forma inconsueta, sembra uno Stonhenge vegetale, così preciso nella sua geometria di terra e alberi…Rossana ci dice che sì, questo dai tempi degli etruschi davvero veniva ricordato come luogo magico.
Il venerdì Santo, ogni anno, ancora oggi, si svolge una processione di sapore tutt’altro che pagano, che passa anche da qui. E’ una Via Crucis mattutina, con partenza all’alba dalla chiesina dei Santi Cosma e Damiano di San Gusmé, dove sono nate le nostre due amiche, e che tocca Campi, l’antico borgo di Sesta, immerso nei boschi, per arrivare al Monte Leno. Anna, che è una ragazza degli anni Sessanta, quando può partecipa ancora oggi a questo rito che, scopriamo, ha saputo comunque far proprie suggestioni delle tradizioni popolari non precisamente cristiane: si dice che la ragazza che riesce a portare la croce in cima al Monte Leno, troverà marito entro la fine dell’anno…E a noi viene in mente la candela accesa davanti allo specchio delle nostre sorelle nordeuropee nella notte di Ognissanti…Che bello ritrovare echi di tempi e luoghi lontani nel vissuto di oggi…Che il turista inconsapevole riesca a respirarle queste cose, che sia anche lì parte del fascino che questa terra sa esercitare ancora oggi?
Non so se ce la faremo a tornare per Pasqua, ma di certo prima di andar via questa bella passeggiata fra i boschi ce la concederemo!
Scendiamo verso San Gusmé, vecchio castello difensivo della potente Repubblica di Siena. Il paese è un gioiello, con le sue case in pietra e mattoni, circondato da olivete e vigneti, in una posizione che regala panorami mozzafiato. Adesso la piccola comunità è in subbuglio, si sta preparando la festa di settembre, la festa del Luca Cava…chi è costui? Andiamo a conoscerlo…
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Oh…ma che posto è mai questo? Il signor Luca Cava ci attende accovacciato sulla fontanella a fianco dei giardini, con i pantaloni abbassati e il cappello a coprire le proprie “vergogne”. Sorride, contento e soddisfatto…di fianco una lapide ci illustra, se non l’avessimo capito, che cosa sta facendo: “Re, imperatore, papa, filosofo, poeta, contadino e operaio: l’uomo nelle sue quotidiane funzioni. Non ridete, pensate a voi stessi” (Silvio Gigli).
Una statua fatta realizzare da un contadino nel 1888 e sistemata nel proprio campo per invogliare i passanti a produrre il fertilizzante più naturale che c’è, poi occultata dagli abitanti del luogo a causa dell’ilarità che suscitava, viene recuperata alla memoria da Silvio Gigli negli anni 70, che ne fa realizzare una identica. Da allora Luca Cava dispensa la sua proverbiale saggezza, in questa terra che sa accogliere il cielo e la sua magia, la terra e le sue naturalissime e semplici leggi, senza mai pendere troppo dall’una o dall’altra parte.
L’equilibrio che rende la vita una festa delle piccole cose. Né sette, né roghi…Oddio forse non siamo precisi, Anna ci dice che gli abitanti di Castelnuovo Berardenga, in passato guelfi agguerritissimi, abbiano messo a fuoco il Castello di San Gusmé e che per questo si divertano a chiamare i sangusmeini “affumicati”…Ma dai roghi si è visto bene, ci si può salvare. Come? Beh ve lo mostra Luca Cava.
Torneremo, di certo, i primi tre fine settimana di settembre, per goderci la festa, il braciere, la musica e le danze…Se venite con noi vi prestiamo la scopa
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