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“Toscani maledetti”, un'antologia a cura di Raoul Bruni

Creato il 29 giugno 2013 da Postpopuli @PostPopuli

 

di Giovanni Agnoloni

Toscani maledetti. Un’antologia di autori toscani era tanto che non si vedeva. Come ben sottolineato dal curatore di questa raccolta edita da Piano B, Raoul Bruni, nella sua prefazione, forse la Toscana soffre di una certa qual misura di “emarginazione” letteraria, nella misura in cui altre realtà regionali e locali, nel corso del Novecento, hanno attirato in modo particolare l’attenzione della critica, e forse hanno anche avuto più fortuna presso il pubblico – complice, mi viene da pensare, anche la tradizione cinematografica, che nonostante certi capolavori assoluti ambientati nella mia regione, e soprattutto nell’ambito della commedia (penso alla saga di Amici miei) – ha avuto nelle ambientazioni romane, ma anche napoletane, siciliane e lombarde, maggior successo.

Il fatto è che la Toscana non è una regione facile. Armoniosa accozzaglia di paesaggi i più diversi, è nota soprattutto – e in tutto il mondo – per la sua faccia “da cartolina”. Però, quando ci si cala al suo interno, emergono tutta una serie di peculiarità cittadine, se non paesane, che disegnano una rete di campanilismi, ostilità, polemiche e rancori di tutti i tipi. Ecco perché il toscano, a volte, può risultare antipatico. La Toscana è un dolceamaro composito, un frammisto insieme di micromondi che ruotano intorno a piazze, viuzze e cortili. E lo dico non per tornare ancora una volta alla “cartolina” di cui sopra. Il fatto è che – come questa raccolta ben rispeccchia, nella selezione dei contributi che la formano – questa regione, patria (punto peraltro discusso) della lingua italiana, è veramente un “Risiko” di modalità esistenziali le più diverse, che trovano pressoché tutte posto nei racconti di Toscani maledetti. E l’inversione di parole rispetto al titolo malapartiano cambia di poco la situazione. I nodi della Toscana, nonostante il passaggio dei decenni, sono sempre gli stessi. Così come il suo incanto.

E allora vediamo come, accanto al girovagare sognante di una drag queen alticcia per le vie di Firenze (penso al racconto di Diego Bertelli, tra i miei preferiti) e all’eco del dramma degli incidenti sul lavoro a Piombino (contributo di Simona Baldanzi), o ancora al retrogusto di ricordi musicali che a volte, nei luoghi toscani, sembrano davvero aleggiare (mi riallaccio al lavoro di Simone Ghelli), ci siano le imprese guascone e (ahimé) i moccoli del “tromba” di turno, il “Giacallo” di Gregorio Magini, e le bizzarrie (condite di un certo qual “esoterismo”) di un agente immobiliare (la storia vera raccontata da Francesco D’Isa).

Ma poi ci sono anche quei ricordi di mare che tanta parte dell’immaginario di noi toscani occupano (come nel testo di Fabio Genovesi), e quell’aria tipicamente di provincia, così intrisa di abitudini talmente ripetute da sembrar quasi un’Ananke postmoderna (penso agli scritti di Silvia dal Pra’, Ilaria Giannini e Pietro Grossi).

 

Il porto di Piombino (da piombinoliberamente.it)

C’è pure il senso di nostalgia dei giochi d’infanzia, conditi di suggestioni fiabesche (nel racconto di Francesca Matteoni), ma anche lo straniamento da lavoro e da modernità-per-forza-pimpante (in quello di Vanni Santoni). E c’è il ricordo della Liberazione di Firenze (Alessandro Raveggi), tinto di speranza e di esasperazione quasi quanto la vita di una donna alle prese con l’invalidità del marito (Ilaria Mavilla); la dimensione della vita universitaria (Valerio Nardoni) e i piccoli e comici paradossi di una vita coniugale “rimontata” in un universo di paese (Sacha Naspini). C’è il senso della decadenza fisica (che emerge dalla poesia narrativa di Marco Simonelli), non disgiunto – anche se diverso – da certe decadenze etiche (non prive di paradossi e sorprese) legate a personaggi come il “Diaccio” del racconto di Cosimo Calamini o i protagonisti – giovani e vecchi, rispettivamente – di quelli di Marco Rovelli e Luca Ricci; senza dimenticare l’inconsapevole eroe negativo del testo di Emiliano Gucci.

La Toscana, così plurisfaccettata e inquietante, diventa una allora una meta spiazzante, che può perfino spaventare (come nel racconto di Flavia Piccinni, dove una ragazzina meridionale va a vivere a Lucca con la famiglia). La Toscana emerge nella sua natura senza compromessi, il che non vuol certo dire necessariamente rettitudine, anzi. È come un ginocchio sbucciato, come un asfalto abrasivo. Se la vuoi, devi prenderla per come è. Sennò vai da un’altra parte.

Forse è per questo che Toscani maledetti rappresenta una sfida e una scommessa. Riuscirà questa Toscana, rappresentata da ventuno voci letterarie, emergenti e in alcuni casi già affermate, a farsi apprezzare? A rompere il muro di certa diffidenza?
Ai lettori – e ai viaggiatori – la risposta.

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