Non è mai troppo tardi e così il soldato Fassina dopo aver obbedito in trincea per quattro anni si è accorto che il Pd non è un partito sano il cui corpo è posseduto diabolicamente e inspiegabilmente da Renzi, non è un organismo da liberare dal male, ma è proprio quella cosa lì, il partito del bullo di Rignano. Col senno di poi tutto questo era chiaramente visibile, non solo negli appoggi senza e senza mai al montismo, ma persino nel discorso di fondazione al Lingotto in cui Veltroni prefigurava un interclassismo da mettere in competizione col berlusconismo, ma esattamente speculare, abbandonando qualsiasi specificità progettuale e confidando di poter mantenere il voto di pura appartenenza conquistando però anche spazio al centro e nella destra moderata.
Ma non è di questo ciò di cui mi voglio occupare direttamente, quanto della viscosità linguistico – concettuale del mondo contemporaneo che rende possibile queste traslazioni politiche persino all’insaputa dei protagonisti, quindi figurarsi dei cittadini. E l’intervista del Manifesto a Fassina ne è un esempio evidente perché al tardivo trasfuga viene chiesto: “Uno dei fondamentali della cultura dem è il credo nell’euro. Ora lei chiede davvero di uscire dall’euro?” E lui da una risposta che è un capolavoro: “No. Chiedo di guardare in faccia alla realtà. L’euro è insostenibile, lo dico da quando ero viceministro del governo Letta: la rotta mercantilista imposta dalla Germania all’euro-zona porta al naufragio. Le condizioni per una correzione radicale oggi non ci sono, come dimostra la vicenda greca. Accontentarsi, come fa l’Italia di Renzi, di qualche decimo di punto percentuale in più di deficit, vuol dire lasciare campo alle destre nazionaliste. Guardiamo in faccia la realtà: nell’euro-zona non c’è alternativa alla svalutazione del lavoro, al rattrappimento delle classi medie, al collasso della partecipazione democratica”.
Tutto ineccepibile, a parte il fatto che l’euro è nato come moneta puramente mercantilistica, non è una deviazione da qualche inesistente rotta ideale. Eppure Fassina non riesce del tutto ad abbandonare il totem e tabù della moneta unica, risponde che no non si deve lasciarla spiegando poi perché la si deve lasciare. Ancora una volta piuttosto che varcare una soglia, quella di una discontinuità radicale con l’universo concettuale che ha portato alla situazione in cui siamo preferisce rimanere nell’ambivalenza. Questo di fronte al dramma greco che proprio in questi giorni conferma la totale perdita di credibilità dell’Europa.
Non è un caso che Fassina nei successivi passi dell’intervista dica di identificarsi con Tsipras e non nei suoi oppositori interni che tengono viva la resistenza ai diktat, senza minimamente rendersi conto che è stata proprio l’ambivalenza rispetto all’Europa che ora costringe Atene alla gogna in cui rimarrà prigioniera per anni. Personalmente mi chiedo che senso abbia uscire dal Pd per riappattumarsi dentro queste ambiguità che sono l’origine della “crisi della famiglia socialista europea” o meglio ancora la sua sostanza perché denunciano l’assenza di visione alternative al mercantilismo . Ma forse chiedo troppo: persino che un no sia un no e un si un si, davvero il minimo per chiedere un voto.