L’autoflagellazione è qualcosa di deleterio. Di sbagliato. Di doloroso.
Eppure in qualche modo la pratichiamo tutti, razza di masochisti incalliti che non siamo altro.
Vedo gente che quotidianamente continua a straziare le proprie carni con un cilicio fatto di malcelato orgoglio e una frusta cesellata di infantili principi scritti su un’inutile e consumata pietra.
Vedo persone che rinnegano il proprio essere e che ingoiano la loro stessa essenza pur di non tradire quello che si sono scioccamente ripromessi.
Osservo chi non ce la fa a stare zitto, chi non riesce a controllare il proprio palpito, chi annaspa nel mare del proprio biasimo e che inesorabilmente continua ad affondare nelle sabbie mobili della cieca convinzione.
Sempre più giù.
Vorrei ridere di loro, ma non posso.
Che cosa parlo a fare io, che aspetto la stagione delle fragole come un eroinomane aspetta la propria dose di gioia mortale?
Guardatemi, guardate me, che non posso mangiarne senza riempirmi di chiazze e bubboni dolorosi che mi deturpano la pelle, mi gonfiano gli occhi e mi squamano come un serpente nel periodo della muta.
Odio la mia intolleranza. Odio le chiazze rosse, detesto i foruncoli e mi maledico ogni singola volta.
Ma amo troppo quel frutto rosso, seducente e succoso.
Non posso resistervi.
Detesto l’intossicazione che mi danno, ma adoro troppo le mie fragole. Per questo, nonostante mi facciano stare male, ne voglio e ne mangio ancora e ancora e ancora.
E lo sai perché ti odio?
Perché tu, sei come le fragole.