In un'epoca nella quale le tecnologie digitali hanno ormai permesso di raggiungere un livello di realismo e di elaborazione visiva privo a tutti gli effetti di qualunque limite, i principali mezzi di comunicazione per immagini, dalla televisione al cinema, passando ovviamente per l'universo interattivo dei videogiochi, sono giunti ormai ad un punto tale che qualunque cosa può essere creata o ricreata, azzerando del tutto lo scarto fra naturale ed artificiale.
In particolare, la settima arte si è sempre più confrontata con tali tecnologie di produzione: del resto la sua stessa tradizione è stata popolata, fin dai primordi, da pionieri e visionari (dal progenitore della finzione scenica Georges Méliès, padre del cinema fantastico e delle prime illusioni su celluloide, a personalità come Segundo de Chomón, ideatore dei primi procedimenti di stop-motion, detti anche passo uno, con cui dare vita ad oggetti inanimati) che hanno cercato mille modi diversi per "inventare" trucchi ed espedienti sempre più complessi ed elaborati allo scopo di generare l'illusione del reale laddove mancava.
L'animazione fin da subito ha la necessità fisiologica di creare un mondo dal nulla, attraverso il fondamentale inganno del movimento reso dalla cadenza di un fotogramma alla volta. Se personaggi come Émile Cohl, J. Stuart Blackston e Winsor McCay possono essere considerati come coloro che per primi si cimentarono con la difficile e artigianale arte del disegno animato (tutti figli delle figurine di cristalloide del teatro ottico di Charles-Émile Reynaud di fine Ottocento), fu in particolare Wladyslaw Starewicz a far progredire il campo dell'animazione frame-by-frame, dando vita a tecniche fluide ed incredibilmente realistiche per consegnare il cinetismo a pupazzi ed oggetti e diventando il vero preparatore delle future prodezze nei trucchi scenici di Ray Harryhausen e della scuola cecoslovacca capitanata da Jiří Trnka e Jan Švankmajer, a loro volta padri putativi della tradizione proseguita da Tim Burton e Henry Selick.
Tornando più specificatamente sul cinema di animazione dei "disegni fatti a mano", la storia è di fatto molto complessa e ricca di fascino; a farla da padroni per anni sono state la scuola giapponese di ispirazione prettamente pittorica, rappresentata egregiamente dall'ormai inconfondibile tratto dello Studio Ghibli di Hayao Miyazaki, e la fiabesca epopea in technicolor di Walt Disney. Ebbene, è proprio ricordando questa antica e nobile tradizione dei disegni animati che oggi questo scarto fra il segno grafico a matita e l'implementazione delle nuove grafiche computerizzate appare a dir poco sorprendente, soprattutto per le nuove e giovani generazioni di spettatori nati e cresciuti in un immaginario popolato di scenari e personaggi che hanno la grafica fluida e patinata della CGI, un'estetica in cui la differenza fra l'universo digitale dei videogiochi e la fruizione su grande o piccolo schermo delle storie è del tutto nulla.
Ma quando ha avuto inizio tutto ciò? Quando le tecnologie hanno preso il sopravvento sulla manualità e si sono inserite prepotentemente nella creazione degli universi animati e fantastici? Non è forse il caso, in un'epoca ipermediale come la nostra, di porsi questi interrogativi e di voltarsi un po' indietro per vedere come tutto ciò che oggi diamo per scontato ha avuto la sua nascita? Ancora una volta tutto parte dal mondo del videogioco, nel quale, fino alla fine degli anni '70, i motori di rendering e i processori impiegati nelle prime console non permettevano di raggiungere un livello di realismo virtuale e di fluidità sufficiente, come dimostrano, ad esempio, i rudimentali (ma ormai epici) Asteroids e PONG dell'Atari. Nei primi anni '80 le tecnologie grafiche fecero un enorme balzo in avanti, permettendo di raggiungere non solo una forma primordiale di pseudo-tridimensionalità negli scenari, ma anche di rendere più credibile e realistico il design dei personaggi e degli ambienti.