Tra libertà e sicurezza

Creato il 01 giugno 2012 da Tnepd

And did you exchange a walk on part in the war for a lead role in a cage?

Vi è una linea ideale all’interno della quale si muove l’esistenza di ogni uomo, una linea le cui estremità si chiamano libertà e sicurezza.
Libertà da una parte, sicurezza al suo opposto.
Definire la libertà non è semplice, e mai lo è stato.
Vi sono innumerevoli definizioni che a tale concetto si sono date nel corso dei secoli, così come vi sono diversi piani in cui l’idea di libertà si può applicare: quello fisico, quello mentale, quello più propriamente intimo.
E l’essere liberi in assoluto è una chimera, dal momento che in ogni aspetto del nostro vivere sono presenti regole e costrizioni, più o meno grandi, doveri e legami, più o meno sentiti.
Più semplice, al contrario, descrivere la sicurezza, poichè il suo campo è più prettamente ‘materiale’, concreto, terreno ed utilitaristico.
La sicurezza è un sentimento strettamente connesso con l’istinto primario di ogni essere animale, ovvero la sopravvivenza, e l’uomo, come si suol dire, non fa eccezione in questo.
Per l’essere umano, nello specifico, il concetto di sicurezza si traduce concretamente nella possibilità di soddisfare i suoi bisogni primari, e vitali.
La sensazione di sicurezza è quindi garantita dalla possibilità di avere del cibo, un riparo, dei vestiti, e prima ancora, dal non doversi preoccupare per la propria incolumità fisica.
Vivere senza temere di essere in pericolo di vita, prima di ogni altra cosa.
Si può facilmente constatare come questa necessità primaria sia stata, dalla notte dei tempi, la giustificazione per ogni forma di potere che nei secoli ha avuto il compito di guidare la vita delle varie società.
La presenza di qualcuno che “garantisca la sicurezza” è da sempre il motivo principale, infatti, per il quale gli uomini delegano a qualcuno l’esercizio del potere.
Uno degli esempi classici che descrivono tale fenomeno, e che in qualche modo sintetizza tale processo, è quello dell’europa alto-medioevale, laddove gli ex sudditi dell’ex impero romano ormai scomparso si mettevano volontariamente sotto la protezione dei signori locali, in cambio della protezione che questi ultimi potevano assicurare.
Si cedeva parte della propria libertà, affinchè fosse garantita la protezione.
Libertà in cambio di protezione: quello era, questo è, il prezzo che si doveva, e si deve, pagare.
Due estremi che delimitano un segmento, e gli esseri umani nel mezzo non possono avvicinarsi ad uno di essi senza inevitabilmente allontanarsi dall’altro.

L’immaginario democratico descrive i cittadini moderni quali “liberi”, ma in verità la sorte dell’uomo comune non si è mai distanziata, nella sostanza, da quella dell’uomo medioevale.
Lo scambio da fare è rimasto sempre lo stesso, facendosi nel tempo forse più raffinato, meno percepibile, ed a tratti più subdolo.
Nello stesso modo, vi sono anche diversi metodi in cui questo scambio può avvenire: si può, in altre parole, stare più o meno vicini ad uno dei due estremi.
Perchè la vera scelta che ogni essere umano affronta nella sua vita non consiste nello scegliere se essere un uomo libero o meno, ma quanta della sua libertà è disposto a cedere.
Nella società contemporanea, ragionando per casi estremi, si potrebbe prendere ad esempio di “massima libertà” quello di un senzatetto per scelta, senza lavoro, senza famiglia, senza obblighi, senza carta di identità.
Un caso estremo, appunto, in cui la “libertà”, intesa ora come assenza totale di vincoli, è massima, e la sicurezza minima.
Sul versante opposto, sempre ragionando per estremi, l’esempio di massima sicurezza è rappresentato da un ergastolano in una prigione norvegese: cibo abbondante e vestiti puliti tutti i giorni, cella con la televisione e possibilità di usufruire di biblioteche e palestre, circondati da secondini urbani che garantiscono la propria incolumità fisica.

Massima sicurezza, appunto, nessuna preoccupazione per il domani, ed assenza totale di “libertà”.
Tra questi due estremi, la massima libertà e la gabbia dorata, si posiziona l’esistenza di ogni uomo.
A livello simbolico, e non solo.
Nessuno può dirsi completamente “libero”, ed ognuno decide quanta libertà è disposto a cedere in cambio della sicurezza.
Per poter mangiare si è disposti a cedere il proprio tempo ad un datore di lavoro, rinunciando alla libertà di trascorrere le proprie giornate riposando o girovagando, e per poter continuare a vivere nella propria casa, senza essere trascinati di forza davanti ai giudici, si è disposti a cedere parte dei propri guadagni agli esattori dello “stato”, che tra le altre cose garantisce anche, teoricamente, anche la propria incolumità fisica.
Si diviene ‘cittadini’, ci si fa schedare, catalogare, censire, monitorare, il tutto in cambio della propria “sicurezza”.
Ma per quanto tale sicurezza sia il bisogno primario, la maggioranza degli esseri umani non potrebbe nemmeno reggere il modello della gabbia dorata: in quella linea ideale in cui ci si posiziona, vi è un limite che non si riesce a superare.
Dove sta questo limite?
Per ognuno, come è ovvio, si trova in un punto diverso.
Alcuni tale limite lo posizionano solamente laddove inizia la costrizione fisica, mentre per altri già la limitazione della libertà di espressione è intollerabile.
In epoca fascista, ad esempio, la quasi totalità dei professori universitari non si fece problema ad adottare il pensiero egemone, con tanto di giuramento, pur di mantenere il proprio posto e la propria pagnotta.
Furono, in altre parole, disposti a cedere una enorme fetta della propria libertà personale in cambio della sicurezza del buon vivere.
Altri, pur di poter esprimere le proprie idee, andarono incontro al carcere (assai diverso da quello norvegese) ed addirittura alla morte.
Per questi ultimi il punto limite era posizionato assai prima.
Il nostro, quindi, di limite, dove sta?


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