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Tra Nimby ed egoismo sociale

Creato il 07 gennaio 2013 da Tabulerase

NIMBYL’IMU? Una tassa odiosa, tocca la prima casa degli italiani la prima cosa che ci viene in mente da dire. Ma non è così semplice, traggo spunto proprio da una discussione nata sulle nuove tasse con altri cittadini, dove possiamo cambiare l’oggetto, ma non la soggettività della percezione di chi viene toccato o meno dagli eventi che ci vengono imposti nello scorrere della vita. Chi è in affitto, ad esempio, guarda con disinteresse, se non con malcelata intima e nascosta invidia, i proprietari che, a torto o a ragione, in quanto tali vengono visti come più fortunati ed appartenenti ad un ceto che può permettersi, anzi è tenuto, a pagarla. Ma cambia poco se si parla della tassa di soggiorno, chi si lamenta di doverla subire non trova la solidarietà di chi non riesce nemmeno ad andare in vacanza, possiamo estendere il discorso a qualunque altro balzello pescando a piene mani nel variegato mondo fiscale italiano.

Il disagio sociale provocato dalle politiche dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni con il picco del meno sensibile di tutti i tempi a questi temi come il governo Monti, ha portato ad un’atomizzazione della società dove ogni persona, nella spasmodica disperata ricerca di mantenere il livello acquisito ed un minimo di benessere si è permeata di un edonistico egoismo che ha portato la sindrome del NIMBY alle sue estreme conseguenze, declinando dal contrasto alle grandi opere alla particolarizzazione delle proprie necessità anche a scapito di qualunque altro attore della società di cui, volenti o nolenti facciamo parte.

NIMBY è l’acronimo di Not In My BackYeard, non nel mio giardino, una teoria ed un movimento che non si pongono acriticamente contro la realizzazione di un’opera, ma ne contestano l’ambito di realizzazione in rapporto al territorio, in pratica, semplificando, “quello che si vuole realizzare è sì utile,  ma inidoneo se costruito nel mio territorio”. Certo a tutti piace premere un interruttore e vedere la luce che si accende e viceversa nessuno vuole affacciarsi alla finestra e vedere davanti a casa una centrale di energia financo una pala eolica di 120 metri. La parola sindrome è stata aggiunta dai sostenitori della realizzazione delle opere contestate per mettere l’accento sul rifiuto aprioristico che viene posto spesso dai comitati NIMBY che nascono in questi casi, sicuramente l’atteggiamento dei governi italiani non ha aiutato a mediare le diverse e variegate esigenze, solo nel 3% dei casi risultano procedure di conciliazione e confronto con il territorio, magari con la concessione di agevolazioni o benefit agli abitanti toccati nel vivo dalla costruzioni di opere pubbliche.

Ma se la teoria o movimento o sindrome NIMBY come a seconda della posizione assunta la si voglia chiamare, ha comunque una sua valenza sociale di condivisione e mediazione tra diversi soggetti, quello cui abbiamo assistito nell’anno passato è una specie di macelleria sociale innescata dai provvedimenti presi d’autorità dal governo in carica e calati senza discussione sulla platea di noi cittadini. Siamo al trionfo della soggettività egoistica con precari contro tempo indeterminato, cassintegrati contro addetti ai servizi, affittuari contro proprietari, piccoli investitori contro bot people e chi più ne ha più ne metta. Tutti contro tutti in una guerra fra poveri dove chi ci guadagna è solo l’ineffabile premier e chi detiene le redini del potere che in mezzo alla distrazione creata dal disagio riesce a fare gli affari migliori, purtroppo caratteristica comune di tutte le crisi economiche è la divaricazione sempre più netta tra ricchi e poveri con la progressiva decimazione della middle class. Solidiarietà e ragionamento sono diventati oggetti rari, godere dell’imposizione della tassa di soggiorno o dell’IMU da parte di chi non è toccato ad esempio, è atteggiamento sbagliato e miope, se, come è o sta già avvenendo si distrugge il settore del turismo e dell’edilizia, questo porta solo a nuovi disoccupati, al collasso di ulteriori galassie del nostro piccolo mondo, meno reddito per tutti e più spese sociali da sostenere a carico di tutti noi. Dovremmo essere uniti verso l’obiettivo comune di una totale ridistribuzione di carichi fiscali e redditi invece che cadere per l’ennesima volta in una guerra fra poveri dove alla fine sono proprio i poveri a farne le spese.


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