San Rocco, il santo taumaturgo, nato a Montpellier nel secolo XIV, fu pellegrino in Francia e in Italia, in modo particolare a Roma, prestando la cura agli ammalati, soprattutto quelli di peste, negli ospedali e nelle località da lui raggiunte nel suo pellegrinare. San Rocco patì tanto la malattia quanto la reclusione perciò il suo culto è legato soprattutto alla protezione dei sofferenti. La venerazione di San Rocco ha conosciuto un’ampia diffusione nell’Europa occidentale, a partire dal secolo XV; esso è legato al ruolo di protettore contro le pestilenze, in particolare quelle di colera e di peste.
In molti paesi dell’Italia, ma, soprattutto nella parte meridionale, San Rocco viene venerato con manifestazioni di autentica fede religiosa che affondano le loro radici in antichissimi riti popolari, in cui si mescolano misticismo e paganesimo. Veneratissimo nei diversi paesi della Calabria, a lui si dedicano, ogni anno, alcuni giorni di festa tra il 14 e il 16 agosto. Il Santo di Montpellier, il quale finì la sua vita a Palmi nel 1327, per aver contratto la peste assistendo gli ammalati, proprio in questo centro dell’omonima Piana, in provincia di Reggio Calabria, viene maggiormente onorato sin dal ’600, quando in suo onore venne costruita un chiesa.
Nel giorno della festa, molti devoti si recano in chiesa e donano ex voto di cera che ricordano la guarigione di una parte del corpo dell’offerente. Momento più solenne della Festa di San Rocco a Palmi è senza dubbio l’uscita del Santo per le vie cittadine. Portata a spalla da 30 uomini, mbuttari, la statua è collocata su di una base in legno chiamata in dialetto locale varetta e adornata di bellissimi fiori. Il corteo è aperto dal Palio e dal complesso dei tamburinari, ma i protagonisti della manifestazione religiosa sono gli spinati, i penitenti: coloro i quali sciolgono un voto o chiedono una grazia , sono fedeli che per ex-voto promettono al Santo, in cambio della grazia, di vestire per tutto il percorso una cappa di spine, spalas, a torso nudo e a braccia incrociate per stringere un’immagine del santo, oppure una corona di spine a ricordo di quella indossata da Gesù Cristo sulla Croce.
Sono le donne a portare la corona di spine, mentre gli uomini a torso nudo, si avvolgono nelle spalle, una sorta di mantello formato da pungenti rami di ginestra selvatica, legati sopra la testa e ricadenti sulle spalle, le braccia, il dorso
e il petto. Con il passare delle ore, le spine lacerano la pelle e il sangue scende lungo il corpo sino a terra. Gli uomini e le donne penitenti conducono la processione autoflaggellandosi, ciascuno incede a modo suo: si agita, si gira e volteggia, mentre pifferi e zampogne, tamburi e grancasse accompagnano il ballo sfrenato, coinvolgendo emotivamente tutti gli spettatori e dando luogo ad uno spettacolo imponente e di grande effetto.Qualche ora prima della processione, che si svolge dal tramonto a notte fonda, gli spinati entrano in chiesa, si genuflettono davanti alla statua del Santo e poi vanno a disporsi in doppia fila in testa al corteo; dopo di loro procedono i fedeli scalzi con ceri votivi in mano ed infine le autorità civile e religiose. La processione, che spesso raggiunge la lunghezza di un chilometro, si snoda per le vie della città, passando di fronte a tutti i luoghi principali, per benedire i sofferenti, e non mostrando, a chi la percorre nel mezzo, né il suo inizio né la sua fine.
Questa di Palmi non è l’unica processione nella quale i penitenti portano addosso, visivamente, i segni della propria penitenza, a questo proposito possiamo citare ad esempio i Vattienti di Nocera Terinese, in provincia di Catanzaro, e i Serpari di San Vito. Sono queste tutte espressioni di una concezione del voto penitenziale di profondissima valenza antropologica, anche se oggi ci possono sembrare anacronistiche e a volte cruente.
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