Se ti piace guarda anche: Roma, La
Dolce Vita, Reality, Il fantasma della libertà
È il secondo film dell’anno in
cui Toni Servillo offre un’interpretazione gigantesca e soprattutto il secondo
grande film italiano di una stagione che potrebbe risultare molto più
interessante di quanto ci si potesse auspicare sei mesi fa.
Sorrentino nelle interviste prende le distanze dal facile accostamento con Fellini, eppure non si può non pensare a La Dolce Vita o a Roma, entrambi ritratti empatici e allo stesso tempo impietosi di una città magnifica e decadente, abitata da personaggi immobili e grotteschi che sembrano imitare le statue di cui è costellata la città. Entrambi i registi sono interessati alla mondanità che si annida come muffa nella città immortale, ai giornalisti e scrittori falliti, aspiranti attricette e spogliarelliste. Entrambi sono attirati dal grottesco e dal surreale. Entrambi scrutano impietosi il fenomeno della fede: qui la “santa”, ne La Dolce vita l’apparizione della Madonna, entrambi inseriscono animali inconsueti: la giraffa, i fenicotteri (uno dei due era sacrificabile) sono il corrispettivo del pesce-luna felliniano. E non si concludono forse entrambi guardando alla luna?
Ma non è un confronto tra i due che voglio compiere: semplicemente, ritengo incomprensibile negare alcun legame tra Sorrentino e Fellini.
La grande bellezza è La Dolce vita d’oggi, ma non sono sicuro che tutti se ne accorgeranno. Meglio vedersi il sesto episodio di Fast & Furious, o il terzo di Iron Man o il terzo di Una notte da leoni: quelli sì che di sicuro rimarranno nella storia dei botteghini.
Ai tempi di Fellini ci si
ricordava dello spogliarello di Nanà o di uno strano pesce arenato sul litorale
a distanza di anni. I passaparola avevano il potere di amplificare e fissare
nella memoria. Oggi i media amplificano fino allo sfinimento il susseguirsi di
scandali e tragedie che esauriscono la loro portata in qualche giorno: e
scandali politici e drammi che sembrano insormontabili, si dimenticano in
fretta in fondo.
Che effetto ci fa oggi vedere la nave della Concordia ancora
arenata di fronte del Giglio? Forse nessuno, in fondo non è più di moda. O
forse è qualcosa talmente forte per cui non bastano e non servono le parole. E
Sorrentino lo sa. Lo sa che questo paese è talmente folle e surreale che la
realtà supera purtroppo sempre la fantasia.
Con questo film la cui trama è
stata tenuta fino all’ultimo segreta, il regista si conferma il più ambizioso
dei registi italiani: aggettivo che per alcuni fa anche rima con presuntuoso,
ma senza una buona dose di faccia tosta, senza un’ambizione che poggia sulla
sicurezza dei propri mezzi, un paese, un’industria, un’arte, un’opera non può
andare avanti. Occorre pensare in grande. E Sorrentino lo fa: lo faceva con la
sua biografia di Andreotti, col suo film internazionale e lo fa ancora,
misurandosi col fantasma di Fellini e con la città fantasma di Roma, che unisce
morte, vita e immortalità. Il suo è un film esagerato, in tutto: nel numero di
scene, nei personaggi, negli scorci, nelle volgarità di ogni tipo esposte in modo
quasi compiaciuto.
È un film spiazzante e sprezzante, che si scaglia contro
tutti anche se tutti assolve. È perfino misogino, blasfemo, politicamente
scorretto. Per questo destinato ad essere acclamato o stroncato, ma non a
lasciare indifferenti. È quello che l’arte deve fare, cogliere la realtà e
restituircela nel suo splendore o nel suo squallore, suscitando forti prese di
posizione.
È questa la grande bellezza di Roma, lo splendore di una cornice in cui vive il più grande squallore, come in ogni metropolitana, ma in nessuna si sente il peso del divino, della storia e della bellezza passata come nella nostra capitale.
È il secondo film della stagione in cui compare il romanzo Viaggio alla termine della notte di Céline (l’altro era Nella casa di Ozon). VOTO: 8+




