Tra gli scrittori egiziani contemporanei ancora non tradotti in Italia* (e da tenere d’occhio) c’è sicuramente Youssef Rakha: classe 1976, nato al Cairo, laureato in inglese e filosofia in Inghilterra, dal 1998 lavora come giornalista e redattore per la sezione cultura di Al-Ahram Weekly.
Ma non solo: è anche autore di romanzi, poesie, reportage fotografici e di viaggio e curatore di un blog molto interessante che raccoglie i suoi articoli, le sue riflessioni, le poesie e le foto che scatta in giro per il mondo e che è un vero e proprio labirinto – work in progress del suo pensiero, sofisticato e intelligente, in cui perdersi è cosa facilissima, ma anche molto affascinante.
Era in strada per il Cairo, nel gennaio 2011, insieme al popolo di Tahrir e parte del suo “diario della rivoluzione” è stato tradotto in italiano da Barbara Teresi per Nazione Indiana:
Mi è stato chiesto di scrivere un pezzo a proposito dei recenti avvenimenti che hanno scosso l’Egitto. Il mio sarà un resoconto personale prima di qualunque altra cosa. Ho visto gente morire, ho visto gli assassini, e ho visto cronisti – tra cui anche conoscenti o colleghi – mentire spudoratamente su tutto questo. Inevitabilmente, questa sarà solo una piccola fetta di quella che credo diventerà la principale epopea del popolo egiziano per i decenni a venire.
[…]Martedì 25 Gennaio
Maidan, il termine egiziano per “piazza”, in origine significa arena o campo di battaglia, e durante l’ultima settimana di gennaio molti di coloro per i quali Maidan al-Tahrir è diventata una casa o una seconda casa, ispirandosi in parte al testo di una nota canzone degli anni ‘70 del cantautore della dissidenza Sheikh Imàm Eissa, inizieranno a chiamare la principale piazza del Cairo moderno semplicemente il Maidan:
“Il coraggioso è coraggioso, il vigliacco è vile / Forza, uomini coraggiosi, andiamo nell’arena”.
Nel giro di una quindicina di giorni, il luogo in cui migliaia di giovani egiziani si sono riuniti, contrariamente a ogni aspettativa, si sarebbe irrevocabilmente trasformato in un luogo della memoria, un luogo storico.
La “rivoluzione” egiziana è stata tema fecondo per lui, che in quei giorni comincia a scrivere l’ossatura di un trilogia ad essa dedicata, il cui primo capitolo I coccodrilli (التماسيح) esce nell’ottobre 2012 per la casa editrice libanese Dar al Saqi.
“E’ la storia della rivoluzione, ma non è una cronaca giornalistica”, mi spiega l’anno scorso ad Abu Dhabi quando lo incontro alla Fiera del Libro.
Gli chiedo se non sia troppo presto per scrivere di eventi storici così attuali e così ancora in corso, ma lui mi risponde che è contro l’idea che sia necessario prendersi del tempo per capire il momento che si è appena passato, come invece hanno fatto altri autori arabi: “Io mi occupo di quella materia che si chiama vita. Vivo e scrivo nel presente”.
E il romanzo, il cui primo episodio uscirà nel prossimo autunno in traduzione inglese, segue le vicende di un gruppo di intellettuali egiziani della gloriosa “Generazione degli anni ’90” (quella di cui fa parte anche Alaa al-Aswani, per intenderci), una generazione “irrequieta” ma troppo concentrata su se stessa per accorgersi che l’Egitto, tra il 1997 e il 2011, stava per diventare un Egitto rivoluzionario.
Protagonisti sono tre giovani poeti che fanno parte di una società segreta di poeti egiziani la cui attività intellettuale dura in realtà solo quattro anni. Negli anni ’90 aspiravano ad una rivoluzione e quando questa arriva davvero nel 2011, in qualche modo li attraversa ma senza davvero toccarli.
Alcuni estratti del romanzo, che è scritto sotto forma di 400 micro-capitoli si trovano online in arabo e in inglese sul sito dell’autore: qui un estratto dal primo romanzo e qui della seconda parte.
Ma più interessante di questo romanzo secondo me è il suo lavoro precedente, un romanzone che è stato “percepito come un libro molto importante ma che nessuno all’epoca aveva davvero voluto leggere” e che nelle parole del suo autore si inscrive nello stesso solco tracciato da Eco e Pamuk, due autori della letteratura mondiale con cui Rakha sente di avere intrecciato un dialogo.
Il romanzo passa inosservato fondamentalmente per un motivo: viene pubblicato dalla casa editrice egiziana Dar el-Shorouk esattamente una settimana dopo la caduta di Mubarak.
Il Libro del sigillo del Sultano. Stranezze della storia nella città di Marte ( كتاب الطغرى. غرائب التاريخ في مدينة المريخ), scritto da Rakha tra il 2007 e il 2009 è un libro che è un ritratto del Cairo post 11 settembre ed è sia “una cronaca del decadimento della città sia una chiamata alle armi” e in ciò, secondo il suo autore, si è rivelato profetico rispetto a quanto sarebbe successo nel gennaio del 2011.
Il Libro del sigillo del Sultano nasce dopo una serie di reportage che Rakha aveva scritto sulle città arabe, come mi racconta l’anno scorso lo stesso autore nel corso di un’intervista che (maldestra me) non ho mai avuto il tempo di sbobinare e pubblicare fino ad oggi.
Quando aveva cominciato a pensare di scrivere del Cairo, aveva capito che avrebbe dovuto scrivere un romanzo e ha cominciato a interrogarsi su come fosse fatto un romanzo arabo, perchè al tempo:
“ero abbastanza disgustato dallo stato in cui versava il romanzo in Egitto. Tutti quelli che pubblicavano un libro in Egitto lo chiamavano “romanzo”, anche se erano raccolte di racconti o autobiografie. Esiste in effetti una scena letteraria in Egitto per quanto riguarda il romanzo ma è molto più piccola di quanto si pensi, sarà formata forse da 3 o 4 scrittori che sono interessati davvero alla forma del romanzo. Gli altri sono autori di versi in prosa o di memoirs, il cui canone letterario però è più propriamente europeo. Ma in Egitto la forma del romanzo non è mai stata davvero stabilita, a parte Nagib Mahfouz. Quindi ho pensato che indagare il romanzo in quanto forma fosse una questione molto interessante di cui occuparsi.
E mi sono chiesto: quale poteva essere l’equivalente arabo del romanzo?
E così ho scritto Il Libro del sigillo del Sultano, che fondamentalmente è scritto in un mix di arabo “medio”, che forse alcune persone troveranno difficile da capire, perchè non è né dialetto (‘ammiyya) né arabo classico (fusha). È una lingua “sciolta” che è l’equivalente contemporanea di quella usata da Jabarti. Una lingua che ho voluto trovare per sperimentare la lingua del romanzo arabo, per creare una lingua per il romanzo arabo. E in più questo libro è anche un tentativo di dare una risposta alla domanda: cosa vuol dire essere musulmani oggi? Ed essere musulmani oggi non deve per forza significare cose negative”.
“Stars” (c) Youssef Rakha
Per spiegarvi la trama, che è abbastanza arzigogolata, vi traduco quanto scritto sul blog di Rakha:
Scritto sulla falsariga di un antico manoscritto medievale sotto forma di una lettera indirizzata al migliore amico dell’autore – in questo caso l’eroe del romanzo – il libro è composto da 9 lunghi capitoli (o lettere o libri, la parola in arabo “kitab” è la stessa), ciascuno incentrato su un viaggio in macchina fatto al Cairo. Ogni “libro” è preceduto da un “khutba” o “discorso”, che è sia una tavola dei contenuti sia una dichiarazione di intenti. Ogni viaggio è una personale monografia su un determinato argomento: il matrimonio, la sociologia, la psicologia, il paranormale, la storia, l’amicizia, l’amore e il sesso. Il nono libro è una raccolta di frammenti dei diari del protagosnista e dei suoi appunti presi dopo aver lasciato il Cairo per Beirut – unico viaggio fatto in aereo – e contiene una serie di riflessioni sui capitoli precedenti, sullo stile delle Epistole di Ibn Arabi.
La storia è narrata alternativamente dal punto di vista di Mustafa Çorbaci, il protagonista, che chiede al suo amico egiziano basato a Beirut di aiutarlo a scrivere un resoconto delle sue strane avventure di cui si trova riferimento nel sottotitolo del libro.
Il libro include anche dei disegni fatti da Mustafa nelle sue peregrinazioni cairote, che illustrano il suo tentativo cartografico di recuperare una città, il Cairo che, fin da quando la storia ha inizio, egli sente già perduta. Alla fine del romanzo, la mappa del Cairo fatta da Mustafa a occhi chiusi, assume la forma del simbolo calligrafico più conosciuto al tempo dell’Impero ottomano, il sigillo all’interno del quale i nomi dei Sultani erano iscritti.
“Map” (c) Youssef Rakha
Per avere un’idea delle atmosfere del romanzo potete dare un’occhiata al book-trailer qui di seguito:
Per seguire Youssef Rakha (e se non lo seguite dopo che vi ho raccontato tutte queste cose vuol dire che non sono stata sufficientemente brava!): blog – twitter – youtube.
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* Un suo racconto è contenuto nella raccolta Figli del Nilo. Undici scrittori egiziani si raccontano, a cura di Francesca Prevedello, Mesogea 2006.