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Tra tonache e cappucci nella Trapani duale

Creato il 20 settembre 2013 da Diarioelettorale

Si Trapani è una città duale, già tale a partire dalla sua collocazione nell’estremità ovest della Sicilia là dove due mari, il Tirreno ed il Mediterraneo, si incontrano.
Trapani è città duale nella netta separazione dei luoghi, tra la città dei cittadini “normali” e gli impenetrabili ghetti periferici dell’emarginazione sociale.
Trapani è città duale nel suo essere città di superfice, fatta di ostentazione di un provincialismo da strapaese al limite dell’incultura, e la città sotterranea, dalla nera, nerissima anima culturale.
Trapani è città duale divisa (ma non sempre) tra la  città delle tonache e quella dei cappucci. Tante, tantissime tonache e tanti, tantissimi cappucci, ora in conflitto ora in unità d’intenti, ora feroci avversari ed ora viscidi complici. Non vi è fatto passato e presente della vita pubblica di questa città che non sia stato in qualche modo un riflesso delle sotterranee rivalità e dei relativi scontri tra logge, nelle logge ed in quell’altra in qualche caso loggia anch’essa che si chiama Curia. Scontri nei quali ci si allea e ci si combatte senza le distinzioni convenzionali di superfice. Li, nell’underground del capoluogo trapanese non ci sono le distinzioni politiche di destra centro e sinistra, non ci sono distinzioni tra laici, clericali e clero.

Non sorprende quindi quanto emerso ieri durante l’udienza, nel processo in corso a Palermo contro il senatore Antonio D’Alì sotto processo per concorso esterno e accusato di essere vicino al superlatitante Matteo Messina Denaro, nella quale il gup Francolini avrebbe dovuto pronunciare la sentenza.
Invece i pubblici ministeri hanno chiesto a sorpresa la riapertura del dibattimento per sentire padre Ninni Treppiedi in relazione ai capi di accusa contestati al senatore D’Alì.

Padre Ninni Treppiedi personaggio al centro di cronache giudiziarie, e coinvolto pesantemente con altre 13 persone nelo scandalo che ha “terremotato” la curia di Trapani, dai primi di agosto rende dichiarazioni ai pm della Procura di Trapani relativamente al ruolo del senatore D’Alì nelle vicende note e meno note della provincia di Trapani.

Un articolo di Rino Giacalone su “Il Fatto Quotidiano” di ieri ed uno di Riccardo Arena su “La Stampa” di oggi fanno il punto su tali rilevazioni.

Mafia e politica: “Il senatore d’Alì tentò di far trasferire l’investigatore scomodo
Da Trapani nuove rivelazioni sul politico Pdl già sotto processo per concorso esterno e accusato di essere vicino al superlatitante Matteo Messina Denaro. Padre Treppiedi, ex dirigente della Curia, racconta in tribunale le presunte attività dell’ex sottosegretario all’Interno per cacciare il superpoliziotto Giuseppe Linares, sgradito ai clan e oggi a capo della Dia di Napoli

di Rino Giacalone | 19 settembre 2013

Si è aperto un nuovo fronte di indagini sulle connessioni tra mafia, politica e imprenditoria a Trapani. Nuove accuse piovono contro il senatore pidiellino Antonio D’Alì, sotto processo a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, ex sottosegretario all’Interno. Indicato dai collaboratori di giustizia come “uomo forte” per i suoi “rapporti con i Messina Denaro di Castelvetrano”. “Gola profonda” è un sacerdote, padre Ninni Treppiedi. Padre Treppiedi dai primi di agosto rende dichiarazioni al pm della Procura di Trapani Andrea Tarondo, nel contesto di una indagine avviata contro ignoti. Una parte dei verbali, l’ultimo dei quali, sottoscritto e definito all’una della scorsa notte, è transitato stamane nel processo in corso a Palermo contro D’Alì. Processo nel quale i pm Paolo Guido e Andrea Tarondo hanno chiesto una condanna a sette anni e quattro mesi.

Oggi il gup Francolini avrebbe dovuto pronunciare la sentenza, i pubblici ministeri hanno chiesto invece a sorpresa la riapertura del dibattimento per sentire padre Treppiedi in relazione ai capi di accusa contestati al senatore D’Alì: i rapporti con i Messina Denaro, la vendita fittizia dei terreni di contrada Zangara, i rapporti con le imprese dei mafiosi o vicine a Cosa nostra, gli appalti pilotati, l’inquinamento delle istituzioni. Una decina di pagine. Storie interessanti. Come quella dei trasferimenti di uomini delle istituzioni che nel tempo si sono posti di traverso “rispetto agli interessi del senatore D’Alì”. Uno di questi, l’ex capo della Squadra Mobile di Trapani Giuseppe Linares. Per le sue indagini Linares non era solo una ossessione dei mafiosi, che addirittura negli anni ’90 avevano anche pensato di eliminarlo, ma anche del senatore D’Alì e del suo entourage.

Addirittura padre Treppiedi indica la moglie del senatore, Antonia Postorivo, quale partecipe al “complotto” che avrebbe dovuto fare allontanare da Trapani Linares, anche con ignominia. Dei soggetti sarebbero stati assoldati per scoprire “eventuali scheletri nell’armadio”. Stessa cosa sarebbe stata fatta per magistrati e giornalisti. Questo sarebbe avvenuto tra il 2001 e il 2006, durante il quale D’Alì fu sottosegretario all’Interno. Un fatto, quello riguardante Linares, oggi capo della Dia a Napoli, in parte riscontrato dagli esiti di un’altra indagine su Finmeccanica e la videosorveglianza a Trapani, dove addirittura si trova l’intercettazione di un colloquio dell’allora capo di gabinetto di D’Alì, l’odierno prefetto di Bolzano Valerio Valenti, che raccontava di come aveva consigliato D’Alì il modo migliore per approcciarsi all’allora capo della Polizia De Gennaro per il trasferimento di Linares. Nel processo in corso contro D’Alì si parla anche di un altro trasferimento eccellente, quello avvenuto nel 2003 del prefetto Fulvio Sodano. Treppiedi dice poco sul punto, svela invece che l’ex capo di gabinetto del prefetto Sodano, il dottor Pasqua finì a Parma come “punizione” per volere di D’Alì.

Interessante poi la parte sui rapporti con gli imprenditori . Quando alcuni di questi furono arrestati, secondo i racconti di Treppiedi D’Alì si sarebbe preoccupato di pressare i testimoni perché non parlassero dei suoi rapporti con gli arrestati. Pressioni esercitate anche su un altro teste del procedimento, l’ex moglie di D’Alì Picci Aula. Anche in questo caso padre Treppiedi ha riferito di averla avvicinata per convincerla a non parlare dei rapporti con i Messina Denaro, e di altri fatti come i retroscena relativi alla Banca Sicula. D’Alì gli avrebbe raccontato che nella cassaforte della Sicula “c’erano i soldi dei mafiosi di Mazara del Vallo”.

Altro episodio rilevante risale al 2001, quando un deputato regionale trapanese, Nino Croce, sarebbe stato convinto dalla mafia, su richiesta di D’Alì, a rinunziare al seggio conquistato nella lista di Forza Italia, perché D’Alì a tutti i costi voleva eletto il suo pupillo, l’imprenditore Giuseppe Maurici. Processo insomma da riaprire, hanno chiesto i pm, per sentire il sacerdote e anche un altro teste, Vincenzo Basilicò, che è stato consigliere di amministrazione in una tv privata. Tra le rivelazioni di padre Treppiedi vi sarebbero anche quelle dedicate al mondo dell’informazione, con pressioni e tentativi di mettere in cattiva luce alcuni giornalisti locali. Don Ninni Treppiedi è un personaggio al centro di cronache giudiziarie, coinvolto nello scandalo che ha scosso la Curia di Trapani,dove è indagato con altre 13 persone. E lì resta indagato, mentre nel processo D’Alì sarà il nuovo testimone. Verrà sentito lunedì prossimo. Il gup alla fine ha infatti accolto la richiesta dei pm di riaprire il processo.”

da Il Fatto Quotidiano

“20/09/2013 – LA PROCURA: IL SENATORE È VICINO AL SUPERLATITANTE MESSINA DENARO
Sacerdote si pente e accusa senatore Pdl: “Rapporti con i clan”” Trapani, monsignor Treppiedi si presenta ai pm. Coinvolto l’ex sottosegretario Antonio D’Alì

RICCARDO ARENA TRAPANI

Quattro giorni fa Papa Francesco lo aveva sospeso per cinque anni e privato persino del diritto di portare l’abito talare, perché monsignor Antonino Treppiedi, coinvolto in una storiaccia di ammanchi e di vendite “abusive” (con sigilli papali falsi) di immobili di proprietà della Curia di Trapani, non aveva “manifestato segni esterni di pentimento obiettivamente riscontrabili”. Dal mese scorso, però, il sacerdote ha deciso di pentirsi (più o meno), non con i suoi superiori ecclesiastici, né con le gerarchie vaticane, ma con i magistrati.

È così che ieri mattina, a sorpresa, i suoi verbali sono spuntati nel processo per concorso in associazione mafiosa al senatore del Pdl Antonio D’Alì, uno dei pochi imputati che il partito di Berlusconi decise di candidare nonostante tutto, mentre furono sacrificati, ad esempio, Marcello Dell’Utri e Nicola Cosentino, arrestato dopo la scadenza del mandato parlamentare. Mentre Dell’Utri, condannato a 7 anni, aspetta a piede libero la decisione della Cassazione. Treppiedi, prete accusato, con altre 13 persone, di truffe, falsi, estorsioni, di avere fatto sparire soldi della Curia su conti di propri familiari e di suore prestanome, accusa a sua volta D’Alì, che è ritenuto dal pm Paolo Guido, della Procura antimafia di Palermo, e dal pm di Trapani Andrea Tarondo, molto vicino a Matteo Messina Denaro, l’ultimo superlatitante di Cosa nostra, originario di Castelvetrano, in provincia di Trapani, città in cui è nato l’esponente del Pdl.

«Giustizia a orologeria», tuona l’avvocato Stefano Pellegrino, uno dei legali di D’Alì, per il quale la Procura ha chiesto 7 anni e 4 mesi. La sentenza era prevista per ieri ma il Gup Giovanni Francolini ha deciso di sentire lunedì il prete e il cognato, Vincenzo Basilicò, testimone di uno degli episodi raccontati da Treppiedi. Sono ben altri però i temi su cui il religioso sarà chiamato a dire la sua: l’inchiesta del procuratore di Trapani Marcello Viola e dei sostituti Massimo Palmeri e Paolo Di Sciuva ha infatti avuto già conseguenze indirette, come la rimozione del vescovo, Francesco Miccichè, decisa l’anno scorso da Papa Benedetto XVI, e la sospensione a divinis di Treppiedi che ora, su ordine del nuovo Pontefice, è stato sanzionato con cinque anni di ulteriore sospensione.

Contumace per la Chiesa, dai pm Treppiedi è andato spontaneamente e ha chiuso l’ultimo verbale, quello riepilogativo delle accuse al suo ex intimo amico senatore. Sono gravi, gli episodi di cui accusa l’ex sottosegretario all’Interno D’Alì (la difesa li ritiene irrilevanti), ma su altri fronti il prete ha approfondito pure questioni finanziarie ecclesiastiche (in partegià emerse), che investono il Vaticano e lo Ior, sulle quali potrebbero esserci sviluppi clamorosi.

Treppiedi ha detto che pressioni mafiose avrebbero indotto un deputato regionale eletto a Trapani, Nino Croce, a optare per il “listino” del presidente della Regione, nel 2001, lasciando così un posto libero, in Forza Italia, a Giuseppe Maurici, vicino all’allora sottosegretario. Ci sarebbe stato poi un tentativo di indurre un testimone, l’ex sindaco di Valderice Camillo Iovino, a nascondere di avere fatto da intermediario tra un detenuto per mafia, Tommaso Coppola, e D’Alì: Treppiedi ha sostenuto di non averlo voluto fare. Il sottosegretario avrebbe poi pressato – senza riuscirci – per far trasferire, nel 2003, il cacciatore di latitanti Giuseppe Linares, dirigente della Mobile di Trapani. E infine il figlio detenuto del boss trapanese Vincenzo Virga avrebbe inviato a D’Alì un telegramma, consegnato all’ex moglie. La donna, dopo avere denunciato il fatto pubblicamente, sarebbe stata costretta a ritrattare su pressione dell’allora marito. “

da La Stampa.it

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